“Le proteste in Iran seguono il modello del Rojava, non quello delle leadership classiche”

Intervista a Neguin, rivoluzionaria iraniana. "Quello che si esprime con le proteste in Iran è un movimento per la difesa degli oppressi, senza una struttura di potere piramidale che poi può accordarsi con il regime o corrompersi. Fino ad oggi nessuna rivoluzione guidata da una leadership ha veramente vinto, perché poi arriva la controrivoluzione".

È in corso da mesi una nuova ondata di proteste in Iran. Cosa c’è di diverso rispetto a situazioni precedenti, verificatesi negli anni scorsi?

Dopo la presa del potere da parte degli ayatollah, ci sono state molte proteste: manifestazioni degli studenti, mobilitazioni per la libertà di stampa, poi c’è stato il Movimento Verde a seguito delle elezioni presidenziali del 2009. Si manifestava contro i brogli commessi, lo slogan era “Dov’è il mio voto?”. Poi, ci sono state molte proteste per rivendicazioni economiche, contro il carovita o l’aumento del prezzo della benzina.

Nel novembre del 2019 ci fu una settimana di black out in internet provocato dal regime, durante la quale furono uccise, nel totale buio mediatico, almeno 1.500 persone. In fondo, l’esplosione di protesta causata dall’uccisione di Jîna ‘Mahsa’ Amini è la continuazione delle proteste del 2019. Questa volta, siamo in presenza di una esplosione femminista e intersezionale contro la repressione subita dalle donne in tutti questi anni. Il movimento è iniziato con la protesta delle donne ma poi ha abbracciato altre rivendicazioni, contro la discriminazione etnica e la discriminazione di classe. Tutta la parte oppressa della società iraniana ha aderito a queste manifestazioni in diverse città iraniane.

Da gennaio le manifestazioni più numerose sono quelle nelle città delle province, come Zâhedân, nel Belucistan, e nelle città curde, perché dopo settembre la repressione ha colpito duramente nelle grandi città. Ci sono momenti specifici di mobilitazione, per esempio in occasione dei funerali o successivamente, perché da noi è tradizione celebrare un’altra cerimonia dopo quaranta giorni dalla morte di una persona. Zâhedân sta vedendo ancora grandi manifestazioni di massa ogni venerdì: la situazione non è tornata alla normalità e si prevedono ulteriori manifestazioni e momenti di crisi.

Quali sono i settori sociali più determinati nelle proteste?

Negli ultimi anni una gran parte della classe media si è proletarizzata, si è impoverita. Le proteste sono motivate da rivendicazioni economiche, le persone non vedono un futuro, giovani e giovanissimi vedono minacciata la propria sopravvivenza. Poi, ci sono le altre forme di discriminazione: in questi 43 anni gli islamo-fascisti ha…

A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

“Israelism”, la rivolta dei giovani ebrei negli USA contro l’indottrinamento sionista

Il film di Sam Eilertsen ed Erin Axelman “Israelism”, proiettato recentemente in Italia, racconta il processo di presa di coscienza di una intera generazione di ebrei americani cresciuti fin da bambini in un ambiente di ferreo indottrinamento al culto di Israele e alla propaganda sionista. Finché molti di loro, confrontandosi con la realtà dei palestinesi attraverso viaggi sul posto o nei campus universitari, non capiscono di essere stati spinti ad annullare la loro ebraicità nella fede cieca in un progetto etnonazionalista.

Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.