La tutela del paesaggio nella Costituzione italiana: storia di una lotta strenua

Un anno fa veniva modificato, per la prima volta nella storia italiana, il testo di uno dei principi fondamentali della Costituzione, l’articolo 9 sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. È solo l’ultimo episodio, non privo di contraddizioni, di una secolare battaglia per la protezione di un patrimonio che unisce cultura e ambiente.

Nel testo originale della Costituzione italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948, e in particolare nell’articolo 9 (cioè tra i primi dodici articoli, quelli che definiscono i principi fondamentali dello Stato) viene enunciata una “inscindibile diade”[2], tutelata dalla Repubblica, composta dal paesaggio e dal patrimonio storico e artistico della Nazione. Mentre scrivo queste parole, inoltre, ricorre un anno esatto dall’approvazione della legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022 che ha sancito ulteriormente la tutela del paesaggio nella Costituzione, aggiungendo a quello stesso articolo 9 un terzo comma, in questo modo:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Il valore politico della bellezza
La questione chiama in causa termini diversi: natura, paesaggio, ambiente, territorio. Proprio per via della molteplicità di accezioni dell’oggetto e la multidisciplinarietà dei piani coinvolti, è sempre stato difficile individuare, riconoscere e proteggere questa parte di un patrimonio a cui ormai, però, non può più essere negato un profondo e inestricabile valore storico, culturale, psicologico, biologico; che può essere naturale o antropizzato, è composto di una molteplicità di elementi distinti ma tra loro corrispondenti e armonicamente simbiotici; e che penetra fin nelle basi del benessere e della vita civile. Un valore riconoscibile nella vita di ciascuna persona, inseparabilmente dalla vita collettiva.

Chiunque abbia avuto la possibilità (oggi sempre più rara e lussuosa) di camminare in una vallata, di godere di una veduta, di trascorrere un po’ di tempo nella natura, certamente ha presente la veridicità e l’importanza (non solo letteraria) di quella specifica dimensione definita “paesaggio” il cui incontro con lo sguardo umano è evocato da Giacomo Leopardi. L’Infinito (1819), in effetti, segue di poco i dipinti celebri di Caspar David Friedrich, come il Viandante su un mare di nebbia, la Donna che contempla un tramonto (1818), il Monaco sulla spiaggia (1808); e se il secolo precedente aveva esplorato il sentimento del bello e del sublime di Edmund Burke, legando lo spettacolo della natura a un giudizio riflettente kantiano, dunque al soggetto e alla sua emotività, il secolo di Leopardi si era aperto, nel 1802, con la leggendaria intuizione avuta dal naturalista prussiano Alexander von Humboldt

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro, la sinistra si è appiattita su posizioni monetariste e ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.