Un mese fa esatto The Guardian pubblicava l’inchiesta “There is no standard”: l’algoritmo delle piattaforme cela un forte bias di genere. I contenuti con corpi femminili sono valutati più sessualmente espliciti (“racy”) e oscurati, in confronto allo stesso contenuto, dallo sport fino alla lotta contro il cancro, ma con corpi maschili. “L’oggettivazione della donna sembra profondamente radicata nel sistema” commentavano gli autori Gianluca Mauro e Hilke Schellmann. Può quindi il movimento delle femministe su Instagram trovare uno spazio di lotta politica tra social network e algoritmi, dove le regole del gioco sono scritte secondo le logiche del sistema patriarcale?
Il femminismo in performance
A partire dalla terza ondata del movimento femminista (1990-2010) la lotta alla subordinazione di genere viene teorizzata e portata avanti come l’intersezione di più piani di discriminazione: non si può più parlare della subalternità di genere senza parlare anche di quella razziale e di classe. Nella quarta ondata, in cui ancora ci troviamo, sono invece i luoghi di azione ad assumere nuove vesti, e i social network diventano i principali mezzi di divulgazione e organizzazione. In particolare, per il mondo femminista, Instagram rimane tra i prescelti. Nel 2022 il social del gruppo Meta ha raggiunto 12.8 miliardi di utenti nel mondo e, secondo il report di Wearesocial, in Italia è circa il 40% della popolazione ad essere attivo. Questa popolarità ha consentito a campagne come #MeToo o #HeForShe di coordinare e unire molteplici persone provenienti da paesi diversi dietro lo stesso megafono e nello stesso momento. Le piattaforme diventano a tutti gli effetti un luogo di riven…