Orlando Figes: “La società russa non coincide né con i miti di Putin, né con gli schemi dell’intelligencija liberale”

“Storia della Russia. Mito e potere da Vladimir II a Vladimir Putin” di Orlando Figes racconta in che modo la propaganda e il regime di Stato riscrivono la storia della Russia in base ai miti del potere, presentandola in questo modo sia ai russi, sia al mondo esterno. Ma la società russa, spiega lo studioso in questa intervista, non coincide con lo Stato né con la sua propaganda. E però, come dimostrano il protagonismo contadino durante i secoli e l’esperienza rivoluzionaria del 1917, nella sua autodeterminazione democratica non coincide neanche con il modello liberale e occidentalista auspicato dall’intelligencija, la quale a sua volta sconta uno scollamento sempre più forte dalla società.
Orlando Figes e la copertina di Storia della Russia

Orlando Figes è uno dei più noti storici della Russia a livello internazionale. Nato nel 1959, professore al Birbeck College dell’Università di Londra – figlio della grande autrice femminista Eva Figes, che negli anni ’70 scrisse libri importanti di critica della cultura misogina dominante in Occidente – in Italia ha pubblicato diversi titoli con Mondadori. L’ultimo, Storia della Russia. Storia e potere da Vladimir II a Vladimir Putin, è un invito a considerare il peso del racconto (il titolo originale non a caso è “Story of Russia” invece di “History of Russia”) e dunque del mito e della riscrittura costante degli avvenimenti da parte del potere, che ha forgiato il modo in cui la propaganda e lo Stato dipingono la Russia tanto ai russi, quanto al mondo esterno.

Cominciamo dalla fine: nelle conclusioni del suo libro lei sostiene che alcune motivazioni offerte da Putin per motivare la sua invasione su larga scala dell’Ucraina sono di natura mitologica. “È una guerra non necessaria, nata da miti e dalla lettura distorta che Putin fa della storia del suo Paese”. È questa radice ideologica e mitologica a renderla una guerra “esistenziale”?

Quelli che possiamo ritenere miti da un punto di vista storiografico, non lo sono nella mente di Putin. L’idea che l’Ucraina sia davvero parte di una “grande Russia”, che l’esistenza dell’Ucraina statuale sia priva di qualsiasi base oltre quella di cui godeva nell’Unione Sovietica, per lui non è un mito, è storia. È la sua comprensione della storia, che è sostanzialmente imperiosa. Non si tratta di un’idea originale, la visione dell’Ucraina come parte della Russia corrisponde alla storiografia imperiale russa del XIX secolo. E si trova in diversi storiografi: Kalabzin, Solov’ëv, Kuchevsky. Tutti sostengono che, essenzialmente l’Ucraina e la Russia moderna, come Stato, siano iniziate come una cosa sola nella Rus’ kieviana. E questa è l’affermazione di principio che Putin fa ora per invadere l’Ucraina. Sta semplicemente riprendendo terre russe. È la storiografia imperiale russa di base. Ma ovviamente, una simile affermazione, che va avanti in modi diversi dal giorno stesso dell’indipendenza ucraina nel 1991, comporta una trasformazione della storia in arma. Comporta un uso della storia che la riscrive come è più utile e la porta al livello della mitologia politica, perché in realtà, nessuno di questi racconti è storicamente rilevante. L’Ucraina è uno Stato territoriale indipendente dal 1991. Semplicemente, questa realtà storica al Cremlino non sta bene, dunque non la riconosce. La guerra che ha mosso l’anno scorso è in sostanza una guerra imperialista, per reclamare quella terra e ricostituire la vecchia Unione Sovietica, non nella forma politica sovietica, ma sotto forma di Stato grande-russo. La mitologia storica gli serve da giustificazione.

Lei scrive che le azioni russe sul terreno ucraino – per esempio le atrocità di Buča e Irpin’ – rappresentano una sorta di “fenomeno postimperiale in cui gli imperi crollati si vendicano sulle loro ex colonie”.

Sì, è una forma di vendetta. Non a caso, man mano che la guerra va avanti, il tipo di linguaggio e le idee utilizzate dal Cremlino per giustificarla o concettualizzarla sono sempre più esplicitamente imperialiste. Non parlano più nemmeno della NATO. Ricorda l’espansione della NATO? Ora hanno accettato la NATO come nemico. E si tratta di una vera e propria vendetta, per il crollo dell’Unione Sovietica, in cui credo che i siloviki, i burocrati più vicini a Putin, stiano giocando una funzione importante. Vengono tutti, come scrivo nel libro, da quella generazione che ha visto il crollo dell’Unione Sovietica e ne ha incolpato soprattutto gli ucraini, per la loro dichiarazi…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.