Orlando Figes è uno dei più noti storici della Russia a livello internazionale. Nato nel 1959, professore al Birbeck College dell’Università di Londra – figlio della grande autrice femminista Eva Figes, che negli anni ’70 scrisse libri importanti di critica della cultura misogina dominante in Occidente – in Italia ha pubblicato diversi titoli con Mondadori. L’ultimo, Storia della Russia. Storia e potere da Vladimir II a Vladimir Putin, è un invito a considerare il peso del racconto (il titolo originale non a caso è “Story of Russia” invece di “History of Russia”) e dunque del mito e della riscrittura costante degli avvenimenti da parte del potere, che ha forgiato il modo in cui la propaganda e lo Stato dipingono la Russia tanto ai russi, quanto al mondo esterno.
Cominciamo dalla fine: nelle conclusioni del suo libro lei sostiene che alcune motivazioni offerte da Putin per motivare la sua invasione su larga scala dell’Ucraina sono di natura mitologica. “È una guerra non necessaria, nata da miti e dalla lettura distorta che Putin fa della storia del suo Paese”. È questa radice ideologica e mitologica a renderla una guerra “esistenziale”?
Quelli che possiamo ritenere miti da un punto di vista storiografico, non lo sono nella mente di Putin. L’idea che l’Ucraina sia davvero parte di una “grande Russia”, che l’esistenza dell’Ucraina statuale sia priva di qualsiasi base oltre quella di cui godeva nell’Unione Sovietica, per lui non è un mito, è storia. È la sua comprensione della storia, che è sostanzialmente imperiosa. Non si tratta di un’idea originale, la visione dell’Ucraina come parte della Russia corrisponde alla storiografia imperiale russa del XIX secolo. E si trova in diversi storiografi: Kalabzin, Solov’ëv, Kuchevsky. Tutti sostengono che, essenzialmente l’Ucraina e la Russia moderna, come Stato, siano iniziate come una cosa sola nella Rus’ kieviana. E questa è l’affermazione di principio che Putin fa ora per invadere l’Ucraina. Sta semplicemente riprendendo terre russe. È la storiografia imperiale russa di base. Ma ovviamente, una simile affermazione, che va avanti in modi diversi dal giorno stesso dell’indipendenza ucraina nel 1991, comporta una trasformazione della storia in arma. Comporta un uso della storia che la riscrive come è più utile e la porta al livello della mitologia politica, perché in realtà, nessuno di questi racconti è storicamente rilevante. L’Ucraina è uno Stato territoriale indipendente dal 1991. Semplicemente, questa realtà storica al Cremlino non sta bene, dunque non la riconosce. La guerra che ha mosso l’anno scorso è in sostanza una guerra imperialista, per reclamare quella terra e ricostituire la vecchia Unione Sovietica, non nella forma politica sovietica, ma sotto forma di Stato grande-russo. La mitologia storica gli serve da giustificazione.
Lei scrive che le azioni russe sul terreno ucraino – per esempio le atrocità di Buča e Irpin’ – rappresentano una sorta di “fenomeno postimperiale in cui gli imperi crollati si vendicano sulle loro ex colonie”.
Sì, è una forma di vendetta. Non a caso, man mano che la guerra va avanti, il tipo di linguaggio e le idee utilizzate dal Cremlino per giustificarla o concettualizzarla sono sempre più esplicitamente imperialiste. Non parlano più nemmeno della NATO. Ricorda l’espansione della NATO? Ora hanno accettato la NATO come nemico. E si tratta di una vera e propria vendetta, per il crollo dell’Unione Sovietica, in cui credo che i siloviki, i burocrati più vicini a Putin, stiano giocando una funzione importante. Vengono tutti, come scrivo nel libro, da quella generazione che ha visto il crollo dell’Unione Sovietica e ne ha incolpato soprattutto gli ucraini, per la loro dichiarazi…