100 anni della Warner Bros.: un viaggio nella storia del cinema

Un percorso a ritroso nella memoria, fra cronistoria e oggettiva e ricordi personali, alla scoperta della Warner Bros., che quest’anno compie i suoi primi cento anni. Ripercorrere la loro vicenda significa raccontare non solo un secolo di vita della major ma la storia di tutta l’industria di Hollywood, un capolavoro dopo l’altro, attraverso epoche e stili differenti che hanno accompagnato l’esistenza di milioni di uomini e donne.
Torre Warner Bros

Accolgo con particolare piacere l’invito di MicroMega a celebrare i 100 anni di una delle più famose major di Hollywood, la Warner Bros., anche per un motivo strettamente personale. Il mio nonno paterno Umberto prima della guerra lavorava proprio alla filiale italiana della Warner Bros., a Roma. In famiglia tutti ricordavano volentieri questa esperienza, che tuttavia si concluse bruscamente e non senza una comprensibile amarezza. Era infatti il 1938, e la politica autarchica del regime fascista stava colpendo anche il cinema. La cosiddetta legge Alfieri aveva imposto l’autarchia distributiva: l’importazione e circolazione dei film diventava a cura esclusiva dell’ENIC (Ente Nazionale per le Industrie Cinematografiche), escludendo di fatto dal mercato italiano le major americane. Per reazione le principali case di produzione, tra cui la Warner, si ritirarono dal circuito distributivo italiano a partire dal 1° gennaio 1939. La filiale di Roma della WB chiuse e il nonno si ritrovò improvvisamente disoccupato. Le luci del cinema, e non solo, si spensero all’improvviso. Questo spiega anche perché alcuni grandi film hollywoodiani di quegli anni, come Il mago di Oz o Via col vento, furono visibili al pubblico solo dopo la guerra: tra quelli della Warner vanno inclusi nell’elenco Ninotchka (Ninotschka) di Ernst Lubitsch, con la famosa scena della Garbo “che ride”, e Jezebel – La figlia del vento (Jezebel) di William Wyler, che vede una delle più intense interpretazioni di Bette Davis.

Circa dieci anni prima, la Warner dei fratelli Harry, Albert, Sam e Jack, imprenditori ebrei immigrati negli Stati Uniti dalla Polonia, è la prima casa di produzione a esordire nel 1927 con un film sonoro utilizzando il sistema Vitaphone, Il cantante di Jazz (The Jazz Singer), pellicola proiettata nell’unica sala allora di proprietà, a New York. Si tratta del primo momento in cui le majors devono scendere a patti con i grandi gruppi industriali: il sistema Vitaphone viene infatti fornito alla Warner dalla Western Electric, una filiale della American Telephone and Telegraph. I costi per l’ammodernamento delle sale cinematografiche, che devono passare dal muto al sonoro, sono inoltre sostenuti indebitandosi con il mondo dell’alta finanza americana, tanto che nella metà degli anni ’30 le majors di Hollywood sono sostanzialmente controllate dai due maggiori gruppi finanziari del Paese, i Morgan e i Rockefeller. Dal momento che le orchestrine in sala con il sonoro non erano più necessa…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.