Il 19 aprile 2023, 80° anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia, il presidente Frank-Walter Steinmeier sarà il primo capo di Stato tedesco a pronunciare un discorso commemorativo presso il Monumento agli eroi del ghetto nella capitale polacca. Questo è un sito importante per la memoria tedesca, poiché nel 1970 il cancelliere Willy Brandt vi fece l’atto storico di inginocchiarsi come gesto di scusa ed espiazione. Il Kniefall von Warschau, ‘la genuflessione di Varsavia’, divenne uno dei simboli della nuova Ostpolitik tedesca, che nel 1971 fece vincere al cancelliere il Premio Nobel per la Pace. Più di 50 anni dopo, il presidente Steinmeier ha accettato l’invito del presidente della Polonia, Andrzej Duda, a tenere un discorso nello stesso luogo. Anche il presidente israeliano Isaac Herzog è stato invitato a partecipare alla commemorazione del 2023 a Varsavia. A prima vista, l’anniversario a cifra tonda della rivolta del ghetto porta consensualmente per la prima volta tre capi di Stato a commemorare i combattenti ebrei polacchi. Tuttavia, dietro le quinte vanno rilevate differenze fondamentali nell’ambito della memoria della lotta ebraica, dell’Olocausto e dell’eredità del passato violento all’interno delle società interessate: Polonia, Germania e Israele. Esistono differenze sia a livello internazionale sia interno, anche se relative a un unico evento concentrato essenzialmente in tre, tragici giorni.
La rivolta del ghetto fu la resistenza armata degli ebrei rimasti nel ghetto di Varsavia dopo la principale azione di deportazione tedesca nei campi di sterminio (1942). Dei suoi quasi 500.000 abitanti, entro il 19 aprile 1943 solo circa 35.000-50.000 ebrei erano ancora riusciti a evitare di essere rastrellati all’Umschlagplatz e caricati sui carri. Come ulteriore atto di sterminio degli abitanti del ghetto, i tedeschi scelsero la festa ebraica di Pesach. Quando attraversarono il cancello del ghetto, i combattenti ebrei aprirono il fuoco. Gli insorti avevano munizioni sufficienti per soli tre giorni di resistenza armata, dopodiché i tedeschi avrebbero iniziato a bruciare sistematicamente uno per uno tutti i caseggiati del distretto, con le persone nascoste all’interno, e deportare frettolosamente i restanti civili nei campi di sterminio. Nonostante si parli di uno scontro disperato tra giovani civili a malapena armati e affamati (di età compresa tra 15 e 25 anni) e un esercito tedesco regolare con equipaggiamento militare, inclusi lanciafiamme e carri armati, il suo spietato liquidatore Jürgen Stroop annunciò la definitiva “pacificazione” del ghetto solo il 16 maggio.
In questa tragica e impari lotta, gli ebrei tentarono il tutto per tutto nel tentativo di vendicarsi il più possibile sui loro oppressori. I feriti furono bruciati vivi dai tedeschi; il 24enne comandante della rivolta Mordechai Anielewicz e un gruppo di combattenti si suicidarono collettivamente verso la fine dell’insurrezione per evitare quel destino; alcune decine di combattenti riuscirono a lasciare il ghetto dopo due giorni di incessante attraversamento delle fogne cittadine. Oggi, per la prima volta in occasione di un decennale dell’anniversario, nessuno dei combattenti sarà tra noi per poterci tramandare il ricordo della propria lotta, ma diversi testimoni dei fatti, allora bambini che vivevano nel ghetto, sono ancora vivi.
Nonostante ciò (o proprio per questo), solo in Polonia quest’anno è stato programmato un totale di oltre 170 eventi commemorativi da gennaio a d…