80° anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia: all’ombra dell’unità, la lotta per la memoria storica

Quest’anno, in occasione dell’80° anniversario della rivolta del ghetto ebraico di Varsavia, per la prima volta parteciperanno insieme alla commemorazione di quei tragici giorni i presidenti di Polonia, Germania e Israele. Ma solo apparentemente le circostanze celebreranno un’unità di intenti data la diversa memoria storica che ogni Paese coltiva di quell’evento. Non si tratta solo di divisioni tra Paesi ma anche all’interno degli stessi: oggi infatti la destra polacca al potere sta monopolizzando il discorso sulla memoria storica, cercando di soffocare ogni ricerca indipendente al fine di far passare una narrazione che vuole i polacchi eroici salvatori degli ebrei. Le cose non andarono esattamente così…
Ghetto di Varsavia

Il 19 aprile 2023, 80° anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia, il presidente Frank-Walter Steinmeier sarà il primo capo di Stato tedesco a pronunciare un discorso commemorativo presso il Monumento agli eroi del ghetto nella capitale polacca. Questo è un sito importante per la memoria tedesca, poiché nel 1970 il cancelliere Willy Brandt vi fece l’atto storico di inginocchiarsi come gesto di scusa ed espiazione. Il Kniefall von Warschau, ‘la genuflessione di Varsavia’, divenne uno dei simboli della nuova Ostpolitik tedesca, che nel 1971 fece vincere al cancelliere il Premio Nobel per la Pace. Più di 50 anni dopo, il presidente Steinmeier ha accettato l’invito del presidente della Polonia, Andrzej Duda, a tenere un discorso nello stesso luogo. Anche il presidente israeliano Isaac Herzog è stato invitato a partecipare alla commemorazione del 2023 a Varsavia. A prima vista, l’anniversario a cifra tonda della rivolta del ghetto porta consensualmente per la prima volta tre capi di Stato a commemorare i combattenti ebrei polacchi. Tuttavia, dietro le quinte vanno rilevate differenze fondamentali nell’ambito della memoria della lotta ebraica, dell’Olocausto e dell’eredità del passato violento all’interno delle società interessate: Polonia, Germania e Israele. Esistono differenze sia a livello internazionale sia interno, anche se relative a un unico evento concentrato essenzialmente in tre, tragici giorni.

La rivolta del ghetto fu la resistenza armata degli ebrei rimasti nel ghetto di Varsavia dopo la principale azione di deportazione tedesca nei campi di sterminio (1942). Dei suoi quasi 500.000 abitanti, entro il 19 aprile 1943 solo circa 35.000-50.000 ebrei erano ancora riusciti a evitare di essere rastrellati all’Umschlagplatz e caricati sui carri. Come ulteriore atto di sterminio degli abitanti del ghetto, i tedeschi scelsero la festa ebraica di Pesach. Quando attraversarono il cancello del ghetto, i combattenti ebrei aprirono il fuoco. Gli insorti avevano munizioni sufficienti per soli tre giorni di resistenza armata, dopodiché i tedeschi avrebbero iniziato a bruciare sistematicamente uno per uno tutti i caseggiati del distretto, con le persone nascoste all’interno, e deportare frettolosamente i restanti civili nei campi di sterminio. Nonostante si parli di uno scontro disperato tra giovani civili a malapena armati e affamati (di età compresa tra 15 e 25 anni) e un esercito tedesco regolare con equipaggiamento militare, inclusi lanciafiamme e carri armati, il suo spietato liquidatore Jürgen Stroop annunciò la definitiva “pacificazione” del ghetto solo il 16 maggio.

In questa tragica e impari lotta, gli ebrei tentarono il tutto per tutto nel tentativo di vendicarsi il più possibile sui loro oppressori. I feriti furono bruciati vivi dai tedeschi; il 24enne comandante della rivolta Mordechai Anielewicz e un gruppo di combattenti si suicidarono collettivamente verso la fine dell’insurrezione per evitare quel destino; alcune decine di combattenti riuscirono a lasciare il ghetto dopo due giorni di incessante attraversamento delle fogne cittadine. Oggi, per la prima volta in occasione di un decennale dell’anniversario, nessuno dei combattenti sarà tra noi per poterci tramandare il ricordo della propria lotta, ma diversi testimoni dei fatti, allora bambini che vivevano nel ghetto, sono ancora vivi.

Nonostante ciò (o proprio per questo), solo in Polonia quest’anno è stato programmato un totale di oltre 170 eventi commemorativi da gennaio a d…

La libertà accademica negata dal fanatismo filo-israeliano tedesco. Intervista a Nancy Fraser

A Nancy Fraser è stato impedito di tenere un ciclo di conferenze all’Università di Colonia. Sebbene il tema designato fosse il lavoro nella società capitalista, alla filosofa è stato proibito di parlare per aver firmato la dichiarazione “Philosophy for Palestine”. Una violazione della libertà accademica frutto di quello che Susan Neiman ha definito il “maccartismo filosemita” della Germania, Paese in cui ormai ogni voce critica nei confronti di Israele viene messa sistematicamente a tacere.

Nuova questione morale: la sinistra e il fantasma di Berlinguer

A sinistra si continua a citare Berlinguer e a sbandierare il tema della questione morale. Ma i recenti fatti che hanno travolto la giunta regionale di Michele Emiliano ci ricordano che nel sistema Italia il marcio è diffuso ovunque, a partire dalle realtà locali. Non si può risanare tutto il sistema politico nel suo complesso ma a sinistra ci si può impegnare partendo da casa propria, cercando di costruire un nuovo autentico soggetto progressista anziché puntare ai “campi larghi”.