Il paradigma indigeno e l’America Latina

Quello che segue è il resoconto di un viaggio parte di una ricerca interdipartimentale sul tema “Popoli indigeni del Centro e Sud America tra storia, memoria, attivismo, musei e arte” dell’Università IULM di Milano. Raccoglie impressioni e riflessioni di un percorso attraverso quattro Paesi (Argentina, Cile, Brasile e Bolivia) e che ci parla di un rinascimento indigeno nel Sudamerica, testimoniato anche dalle stupende foto scattate durante il viaggio.
America Latina

Negli ultimi anni della sua vita, Ryszard Kapuściński stava progettando un grande viaggio in America Latina. Aveva l’impressione che proprio lì stessero accadendo cose che avrebbe potuto mettere in filigrana con le sue esperienze africane. A Ebano voleva potesse seguire un reportage sul “Continente” – così nelle canzoni viene spesso chiamata l’immensa America del Sud, come cantava il cubano Pablo Milanés: “Vuelve a sacudirse el Continente” (“Torna a scuotersi il Continente!”).

Ma è possibile davvero concepire l’America Latina come qualcosa di unitario, come un solo luogo del mondo?

Da un certo punto di vista sono proprio le persone che incontri lì a fartelo credere. Per quanto il “Continente” sia la sede di terribili nazionalismi e guerre di confine, nel sogno bolivariano di unità c’è ancora qualcosa di vero. Che cosa è difficile dirlo. La nostra ambizione di viaggiatori, nonché di antropologo e di storica dell’arte, ci ha fatto avanzare delle ipotesi. Intanto abbiamo dovuto tornarci e, recentemente, ci siamo andati con uno scopo ben preciso, per poter verificare alcune ipotesi. Volevamo capire quanto la presenza della questione indigena in nazioni diverse stesse effettivamente cambiando il quadro generale. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare moltissima gente – indigeni, intellettuali, contadini, capi spirituali, artisti, poeti – e la prima evidenza è che l’America Latina sia per gli europei come il Grand Tour per i centroeuropei dell’Ottocento. Per capirla bisogna andarci. E per noi questo luogo ha un significato particolare: proprio perché è stato una proiezione malata del colonialismo europeo, oggi possiamo rifletterci in esso e comprendere quanto non ne abbiamo capito. Il colonialismo in America Latina ha giocato come totale miopia, cancellazione di un universo e copertura di esso con il “già noto”. L’America tutta, ma soprattutto quella del Sud, non è servita all’Europa per rinnovarsi ma solo per arricchirsi, in maniera rozza e stupida. L’oro degli Incas è stato tutto fuso, le forme straordinarie che esso aveva preso nel “Continente” perdute per sempre, anche se molti artisti del Rinascimento, vicini alle corti, ebbero il tempo di scorgerne un barlume. L’Europa non voleva avere a che fare con le diverse civiltà millenarie giunte fiorenti alle soglie del Seicento. Meglio distruggerle, e trasformare tutta quella civiltà in pobre indios. Un’opera di miserabilizzazione che venne operata sistematicamente da subito: l’indio divenne il povero a cui fare la carità, destituito della sua dignità e ri/inventato come selvaggio ed elemosinante.

Abbiamo fatto un lungo viaggio per il Continente, tra Argentina, Cile, Brasile e Bolivia, cercando di chiudere un cerchio aperto qualche anno fa con la Colombia, il Perù e l’Ecuador, pur sapendo che ci mancava ancora moltissimo (il Centro America, il Messico e il Guatemala sono stati luoghi molto importanti per uno di noi, l’antropologo, negli anni scorsi). Il fil-rouge sono state le questioni indigene, in particolare per l’emergere di una generazione di artisti indigeni diventati molto presenti negli ultimi anni nelle biennali e nelle manifestazioni artistiche europee (l’ultima Biennale d’Arte di Venezia è stato il caso più rilevante). In questo, il fatto di essere un antropologo e una storica dell’arte ci dava un passepartout speciale. Cerchiamo di raccontare le nostre impressioni come se fossero lampi che si sono fermati sulla retina e nella memoria.

Argentina

Argentina: un paese in grandi difficoltà economiche, con una inflazione galoppante, ma che è difficile ridurre a questo. Siamo ospiti a casa di un giornalista di Pagina 12, il quotidiano di Buenos Aires che ha avuto grandissime firme e sofferto moltissime vittime durante la dittatura. Sergio Kernan ha una bella casa a patio non lontana da barrio Once. È preoccupato perché gli abbiamo scritto di darci delle dritte sulla questione Mapuche e lui sa bene che c’è un nodo molto complesso che il suo Paese stenta a riconoscere. Ci manda come prima cosa a La Plata a visitare il Museo di Storia Naturale, per anni diretto dal famoso Perito Moreno. Ossa di dinosauri, ritrovamenti paleontologici, ma soprattutto un’enorme collezione di teste Mapuche. Il museo quando arrivi…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

Una nuova generazione di femministe russe, oggi quasi tutte riparate all’estero dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, sta svelando attraverso un nuovo uso del linguaggio poetico il trauma rappresentato per le donne dalla violenza maschile, all’interno di una società patriarcale come quella russa che, con il pieno avallo dello Stato, ritiene lo spazio domestico e chi lo abita soggetti al dominio incontrastato dell’uomo. La popolarità della loro poesia e del loro impegno testimonia la reattività della società russa, nonostante la pesante militarizzazione.