I musicisti russi contro la guerra. Un anno di musica antimilitarista

A dispetto di un presunto unanimismo bellicista che il Cremlino vorrebbe rappresentare – ma anche tanta russofobia nostrana sembra alimentare a scopi ideologici – il panorama musicale di artisti russi contro la guerra è ricco di voci dissonanti, antimilitariste, che spaziando fra generi e generazioni si manifestano contrarie a questa guerra, così come a tante guerre precedenti condotte da Vladimir Putin.
russi contro la guerra

Già all’indomani del 24 febbraio 2022 si è visto come non pochi cantanti e gruppi musicali russi di rilievo abbiano manifestato il loro dissenso rispetto all’aggressione dell’Ucraina, condannando senza se e senza ma tanto la guerra in corso, quanto un regime sempre più rigido e asfittico. A schierarsi contro la guerra sono stati artisti russi di diverse generazioni: si spazia dalle imprescindibili “colonne” del rock tardo-sovietico e post-sovietico degli anni Ottanta e Novanta alle stelle dell’hip-hop degli anni Dieci del Ventunesimo secolo, passando per figure note del pop a cavallo tra anni Novanta e 2000, tutte unite da una comune presa di posizione. Va da sé che, in virtù della molteplicità dei generi e delle personalità coinvolte, le modalità di espressione artistica del sentimento antibellico e antisistema attraverso la musica presentano sfumature diverse.

Uno dei protagonisti del rock russo è senz’altro Jurij Ševčuk, leader dei DDT e autore di numerose canzoni entrate da tempo nell’immaginario collettivo. A un concerto del maggio 2022 ha pronunciato una frase che non necessita di ulteriori commenti: “La patria non è il culo del presidente da leccare e baciare tutto il tempo. La patria è la vecchina povera che vende patate alla stazione dei treni”. I nuovi pezzi scritti da Ševčuk nel corso dell’ultimo anno costituiscono un’autentica summa di tutti i temi che, come vedremo, sono stati trattati anche dai suoi colleghi (coetanei e non), tra accorati appelli contro l’orrore della guerra (basti ascoltare la potente I funerali della guerra – i titoli dei brani vengono tutti indicati nella traduzione italiana, NdR) e altrettanto accorate denunce delle pecche della Russia di Putin, tra la follia nazionalista e militarista (ben sintetizzata in Torna a casa, patria) e le disparità sociali delle periferie (descritte a tinte forti in La piccola morte).

Un altro protagonista storico del rock russo, ormai settantenne, è Boris Grebenščikov, ex frontman degli Akvarium, uno dei punti di riferimento del sottosuolo musicale dell’allora Leningrado. Dopo aver riproposto ai suoi concerti il pezzo Il caccia nero, in origine ispirato agli orrori della prima guerra cecena del 1995, nella primavera del 2022 Grebenščikov ha scritto un nuovo brano, Vaticinio, sorta di canto rituale propiziatorio: la tematica esoterica, d’altronde, è una passione mai sopita degli Akvarium sin dai tempi delle loro simpatie hippy anni Settanta. Nel vaticinio si cerca di preannunciare il ritorno della luce, per quanto “nel cielo puro” ci siano nuovamente “tracce sporche” e sembri “non esserci più un domani”, anche perché la risposta della divinità, da secoli, pare sempre la stessa.

A concentrarsi sullo strazio della guerra e sulle sofferenze dei civili è anche Zemfira, principale voce femminile della Russia post-sovietica, che come Grebenščikov ha inizialmente fatto risentire al pubblico una sua vecchia canzone, Non sparate, ispirata a un’altra guerra cecena, quella d’inizio anni Zero. Il secondo imperativo del ritornello, oltre a quello eloquente del titolo, è “Non tacete”: un disperato invito a non ignorare gli orrori della guerra, per quanto lontana essa possa sembrare – e a questo proposito non va dimenticato che, al di là del lavoro eccezionale di giornalisti come Anna Politkovskaja e attivisti per i diritti umani come l’ONG Memorial, le due g…

Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Libano, lo sfollamento forzato e le donne invisibili

La disuguaglianza di genere ha un forte impatto sull’esperienza dello sfollamento di massa seguito alla guerra nel Libano meridionale. Tuttavia, la carenza di dati differenziati rischia di minare l’adeguatezza degli aiuti forniti e di rendere ancora più invisibile la condizione delle donne, che in condizioni di fuga dalla guerra sono invece notoriamente le più colpite dalla violenza e dalla fatica del ritrovarsi senza casa e con bambini o anziani a cui prestare cure.

Come il fascismo governava le donne

L’approccio del fascismo alle donne era bivalente: da un lato mirava a riportare la donna alla sua missione “naturale” di madre e di perno della famiglia, a una visione del tutto patriarcale; ma dall’altro era inteso a “nazionalizzare” le donne, a farne una forza moderna, consapevole della propria missione nell’ambito dello Stato etico; e perciò a dar loro un ruolo e una dimensione pubblica, sempre a rischio di entrare in conflitto con la dimensione domestica tradizionale. Il regime mise molto impegno nel disinnescare in tutti i modi questo potenziale conflitto, colpendo soprattutto il lavoro femminile. Ne parla un libro importante di Victoria de Grazia.