Tutto il potere agli arraffatutto: la Costituzione tradita

La Costituzione italiana indica la strada del regionalismo come una possibile attuazione di politiche solidali, per garantire a tutti i cittadini il godimento dei diritti fondamentali. L'ipotesi di autonomia differenziata che oggi culmina con il DDL Calderoli ma è stata avviata dai governi di sinistra con la riforma del titolo V della Costituzione fonda invece un regionalismo competitivo e accaparratore, che rischia di disgregare interamente l'unità della Repubblica italiana e della sua cittadinanza.

Allarme. Credo sia questo il sentimento emerso e che accomuna tutti noi critici dell’autonomia differenziata. È fondato? Sarebbe questa, immagino, la domanda non dico dei fautori dell’autonomia differenziata, ma di coloro che seguono distrattamente e – forse – con poca consapevolezza il dibattito politico sul tema. In fondo, potrebbero dirci, si tratta solo di attuare la Costituzione, dando seguito a quanto prevista all’articolo 116, comma 3. Un argomento che potrebbe addirittura essere rivolto in termini polemici a chi, come noi, ha sempre sostenuto la necessità di dare una rigorosa applicazione ai principi costituzionali. Qualcuno potrebbe persino pensare che le nostre preoccupazioni siano dettate da una preconcetta avversione ad ogni tipo di autonomia regionale.
Per rispondere all’interrogativo posto e fugare certi timori è necessario chiarire che la nostra inquietudine non riguarda il principio di autonomia, che può essere declinato in diversi ed opposti modi, piuttosto concerne specificatamente questa autonomia “differenziata”, in particolare per come viene proposta negli atti posti in essere nel recente passato e per come viene preannunciata dall’attuale maggioranza. La ragione di fondo del nostro allarme, il pericolo maggiore che noi avvertiamo, è proprio quello che in tal modo ci allontaneremmo dal modello costituzionale di autonomia disegnato in Costituzione, altro che attuazione.

In proposito è opportuno precisare che il modello di autonomia definito dalla nostra Costituzione è rinvenibile, più che nel titolo V, principalmente nei primi articoli del testo costituzionale. Com’è noto, infatti, sin dall’Assemblea costituente la discussione sul tipo di regionalismo non fu univoca e forse neppure del tutto lineare (non avendo lo spazio per esaminare la discussione che allora si sviluppò posso solo rinviare ai chiari studi di Allegretti o di D’Atena sul punto). L’intervento del 2001 ha confuso ulteriormente il quadro (e ci è voluto l’incisivo intervento “creativo” e “sistematico” della Consulta per dare un volto al regionalismo del nuovo millennio). Ciononostante, il “modello” costituzionale del regionalismo italiano è stato ben definito principalmente negli articoli dedicati a configurare i principi fondamentali della Repubblica. Non v’è dubbio, infatti, che nell’articolo 5, e poi nei precedenti articoli 2 e 3, è delineato un regionalismo di tipo chiaramente e fortemente “solidale”. Basta leggere gli articoli richiamati. L’autonomia deve essere riconosciuta ed anzi promossa al fine di assicurare l’unità e indivisibilità della Repubblica. Così anche i diritti inviolabili devono essere garantiti sempre, su tutto il territorio nazionale e – come da sempre ci ricorda la Consulta – per tutti, compresi gli stranieri, imponendo doveri inderogabili di solidarietà all’intera Repubblica e non possono riguardare, invece, solo le diverse comunità locali o regionali. Per non dire del principio d’eguaglianza formale, ma ancor più sostanziale, che impone di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana, certamente anche quelli d’ordine territoriale. Questi sono i parametri costituzionali di riferimento.

Appropriarsi del potere
Se si leggono in questa prospettiva le proposte dell’attuale maggioranza (ma in realtà anche quelle dei governi precedenti) si evidenzia senza ombra di dubbio la distanza tra la solidarietà che sorregge il concetto di autonomia individuato in Costituzione e le logiche competitive e di natura brutalmente “appropriativa” che si stanno cercando ora di imporre nei rapporti tra le regioni e lo Stato centrale. Qualcuno ha scritto che si sta preparando una vera e propria “secessione” (dei ricchi), ma se anche si volesse essere più cauti, non si potrebbe comunque negare che sia l’appropriazione sfrenata ed egoistica dei poteri e di tutte le competenze possibili ciò che lega e spiega la richiesta delle regioni. La riprova è la

A Hebron è in vigore l’oppressione permanente dei palestinesi

Dalle punizioni collettive alle tecniche di sorveglianza e riconoscimento facciale,  passando per le “sterilizzazioni” delle strade dalla presenza palestinese come le chiamano i soldati, ogni “misura temporanea di sicurezza” che istituzioni e coloni israeliani testano su Hebron diventa poi uno strumento d’oppressione permanente imposto sull’intera Cisgiordania. Per usare le parole di Issa Amro, leader della resistenza non violenta nella regione, Hebron è il “laboratorio dell’occupazione”.

“Israelism”, la rivolta dei giovani ebrei negli USA contro l’indottrinamento sionista

Il film di Sam Eilertsen ed Erin Axelman “Israelism”, proiettato recentemente in Italia, racconta il processo di presa di coscienza di una intera generazione di ebrei americani cresciuti fin da bambini in un ambiente di ferreo indottrinamento al culto di Israele e alla propaganda sionista. Finché molti di loro, confrontandosi con la realtà dei palestinesi attraverso viaggi sul posto o nei campus universitari, non capiscono di essere stati spinti ad annullare la loro ebraicità nella fede cieca in un progetto etnonazionalista.

Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.