Preservare il più bel frutto della Resistenza

Quello di Mussolini fu un regime che, dietro illusorie promesse rivoluzionarie, nacque grazie a intrallazzi e finì nello sfacelo in cui trascinò il Paese. Ma nel frattempo al suo interno aveva iniziato a spirare il vento della Resistenza partigiana, da cui nacquero la democrazia italiana e la Costituzione che ne è a fondamento. Una Costituzione da preservare e di cui ripercorriamo alcuni articoli fondamentali.
Costituzione

Nel film La marcia su Roma Dino Risi, da maestro qual è, rappresenta molto bene attraverso i due protagonisti – Domenico (Vittorio Gassman), piccolo borghese spiantato e furbastro, e Umberto (Ugo Tognazzi), contadino che aspira a diventare proprietario di un pezzo di terra da coltivare in proprio – l’illusione creata dal programma di San Sepolcro (1919). Un manifesto di verbosità che nella bivalenza delle formule faceva scambiare per rivoluzione il ribellismo con cui Mussolini giocava la partita di sempre: la scalata al potere, usando strumentalmente le masse mentre si alleava con i poteri forti (industria, finanza, chiesa, corona, esercito) e politici illusi di durare e che entreranno a far parte di quel governo di coalizione già approntato dal re. Un governo di cui Mussolini ha ufficialmente incarico nell’ambito della fervente trattiva e del conseguente gioco delle parti: il colpo di Stato di una corona che si rimangia anche la sua firma dello Stato d’assedio – di fatto già in atto e poi fatto smobilitare – con il comunicato dell’Agenzia Stefani che, alle ore 12,40 del 28 ottobre 1922, batte la notizia «Il provvedimento della proclamazione dello Stato d’assedio non ha più corso».

Una nota che in quel «non ha più corso» rivela la verità scomoda delle trattative di Vittorio Emanuele III per il colpo di Stato, Stato che affidava ufficialmente a Mussolini il quale, prudenzialmente in attesa a Milano, il 30 ottobre giungeva in treno a Roma per essere a capo di quella marcia-farsa, apprestandosi il giorno dopo alla formazione del suo primo governo. Un governo di coalizione formato per la maggioranza da esponenti della vecchia classe politica, con soltanto quattro fascisti.

Era l’inizio: “C’è il governo. Ci sono io. gli italiani devono e dovranno obbedire”, affermava il duce del fascismo insediatosi il 2 novembre nelle stanze del Gabinetto.  

Un regime delinquenziale prendeva il potere e l’avrebbe mantenuto per un ventennio dittatoriale che imponeva in una società gerarchizzata razzismo e miseria, fino alla guerra al fianco di Hitler.

E fu proprio lo sfacelo dell’Italia nella Seconda guerra mondiale a portare alla sua caduta.

Le sconfitte sui fronti di guerra aprirono un fronte interno tra dimissioni e cambi di guardia di capi militari e gerarchi fascisti, mentre nel Paese riprendeva vigore la resistenza antifascista con scioperi ben organizzati. Scioperi politici, che al motto “Pane Pace Libertà il 5 marzo del 1943 partono dall’officina 19 della Fiat Mirafiori di Torino” si estendevano in Lombardia, Reggio Emilia, Toscana, coinvolgendo in pochi giorni migliaia di lavoratori.

La narrazione dell’identificazione del popolo italiano col regime mussoliniano si infrangeva! Segnali c’erano stati già alle stazioni ferroviarie in occasione delle partenze dei soldati per il fronte russo, accompagnate da tumulti. E tra l’agosto…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

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La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.