Voglio iniziare ringraziando l’autore per questo testo sfumato e stimolante. L’ho trovato utile per mettere ordine fra i miei pensieri riguardo alla moralità e l’immoralità delle varie posizioni sulla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. In ciò che segue, desidero non tanto offrire una recensione del pezzo quanto, piuttosto, riflettere e sviluppare alcune delle proposizioni fondamentali delineate nell’articolo. Il fatto di essere un’economista politica, un’attivista, una femminista, un’eco-socialista e un’ucraina, che si trovava nel Paese quando la guerra è iniziata, dà forma ai commenti che seguono.
La posizione e l’argomentazione di Kögler sono estremamente convincenti. Nel suo tentativo di riassumere le narrazioni proprie della sfera del diritto internazionale, dell’autodeterminazione e dei diritti umani, egli sostiene eloquentemente un argomento puramente morale a favore dell’Ucraina; la comprensione “di un sentimento e delle reazioni morali riguardo alla guerra, specialmente di una guerra votata all’autodifesa… [rendendo] possibile una risposta normativa alla guerra come strumento della politica, in quanto continuazione e realizzazione della moralità con altri mezzi”. Quello che però mi ha particolarmente interessata nell’articolo è ciò che viene rivelato, attraverso l’analisi, sui modi di intendere i tratti di immoralità e ‘pseudo-oggettivismo’ che una posizione apparentemente neutrale e “moralmente equidistante” comporta e quanto questa posizione sia ugualmente ipocrita, sinistra, controproducente, malinformata e narcisista. Le strumentalizzazioni usate come scuse per non fornire aiuto sono piuttosto patetiche: incapaci di identificare una “razionalità” che assomigli a quella di colui che osserva questa guerra, i belligeranti si auto-impongono l’ignoranza del ragionamento. Kögler osserva giustamente che “nulla ha maggiore senso di questa guerra per entrambe le parti direttamente coinvolte”, poiché gli ucraini lottano per sopravvivere ed esercitare l’autodeterminazione nazionale, mentre la Russia porta avanti il suo progetto di nazionalismo imperialista, in cui lo spazio cui ritiene di avere diritto viene assorbito e le persone vengono assimilate o annichilite, denotando così uno scontro tra due progetti nazionali distinti: uno decoloniale (per quanto fino ad ora imperfetto) ed uno neocoloniale.
Kögler (2023, pag. 6) osserva che la prospettiva geopolitica verso cui i sostenitori di tale posizione e i pacifisti si orientano è un’astrazione trans-soggettiva dall’individuale al collettivo – gli Stati e le sfere di influenza – che oscura “l’origine e la realtà della guerra” in un atto di “inganno infernale”. Nel contesto di un imperialismo capitalista, razzista, patriarcale ed ecocida, dove la destra in tutte le sue sfumature è in crescita, il pacifismo, l’equidistanza morale e la non-resistenza sono, a mio parere, espressione di un posizionamento e di un’ideologia borghesi, di una visione imperialista del mondo, non dissimile da quella di Putin o di Dugin, che è stata interiorizzata: si può essere o antimperialisti e antifascisti o pacifisti, ma non entrambe le cose.
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