Il lato oscuro del mercato del lavoro: sfruttamento e caporalato in Italia

Subappalti, infortuni continui, deroghe e scarsi controlli, caporalato, padronato, sfruttamento, segregazione, ghettizzazione deformano la democrazia italiana in una gabbia sociale che esprime una nuova forma di periferia, fatta di povertà e ricattabilità per mezzo di norme sempre troppo lontane dalla condizione reale di chi lavora, interessi criminali, a volte mafiosi, indifferenza e politiche di deroga ai diritti e alla sicurezza. Ma un percorso praticabile di riaffermazione dello Stato di diritto esiste.
caporalato in Italia

La politica degli ultimi trent’anni, per mezzo di riforme normative e del linguaggio ricorrenti, ha sostanzialmente delegittimato il complesso di diritti del lavoro vigenti e con essi quelli della cittadinanza, determinando l’affermazione di una dottrina rigorosamente neoliberista fondata sulla subordinazione delle persone e dei loro percorsi di vita e di lavoro al profitto. Il rapporto tra capitale e lavoro è stato infatti riscritto dal potere in primis smobilitando, anche per via militare, il conflitto e in secondo luogo mediante il ricorso a politiche del lavoro, fiscali e di welfare fondate su tesi economiche rigoriste che hanno duramente colpito le fasce più fragili e meno tutelate della popolazione a vantaggio di quelle invece più strutturate e privilegiate. Basterebbe ricordare quanto afferma Ferruccio Pastore in un suo recente libro (Migramorfosi, Einaudi 2023). Riprendendo infatti i dati Ocse, Pastore fa notare che nel 2021 il salario lordo annuo degli italiani, a parità di potere di acquisto, è stato di 29.694 euro contro i 29.341 del 1990. Un guadagno di appena 300 euro in trent’anni. Nello stesso periodo gli spagnoli sono passati da 25.000 a 27.000 euro, i francesi da 29.000 a 40.000 e i tedeschi da 30.000 a 43.000. L’Italia è rimasta, dunque, sul piano contrattuale e salariale sostanzialmente ferma rispetto al resto d’Europa, divenendo il teatro di una politica che ha scaricato sui salariati, le donne, i migranti, i giovani e i disoccupati, le politiche e le riforme economiche e politiche della classe dirigente del Paese.

Per questa ragione, ogni riflessione capace di partire dalle condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici, merita una particolare attenzione, anche solo per contraddire la retorica dello sviluppo economico contabilizzato mediante le percentuali di crescita del pil e sulla base di rinnovi contrattuali che non sempre si traducono in un aumento della capacità reale di spesa e di investimento delle persone e delle famiglie.

Sotto questo aspetto, il volume monografico voluto da Avviso Pubblico e pubblicato da Rubbettino dal titolo Sfruttamento e caporalato in Italia. Il ruolo degli enti locali nella prevenzione e nel contrasto, svolge un ruolo fondamentale, evidente peraltro sin dal titolo. Il volume, che ospita contributi e riflessioni di alcuni tra i maggiori esperti di sfruttamento del lavoro, si apre con i saggi di due importanti esponenti della magistratura italiana come il giudice Gian Carlo Caselli (“Dalla legge 199/2016 all’etichetta narrante per ripristinare legalità e giustizia contro sfruttamento e caporalato”) e il magistrato di Cassazione Bruno Giordano (“Il contrasto allo sfruttamento del lavoro e il ruolo degli enti locali”). Quest’ultimo, peraltro, tra i maggiori esperti di sicurezza sul lavoro, già direttore generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e tra i padri della legge 199/2016, ossia la più importante norma vigente contro lo sfruttamento. Leggere questi contributi significa comprendere l’orga…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

Una nuova generazione di femministe russe, oggi quasi tutte riparate all’estero dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, sta svelando attraverso un nuovo uso del linguaggio poetico il trauma rappresentato per le donne dalla violenza maschile, all’interno di una società patriarcale come quella russa che, con il pieno avallo dello Stato, ritiene lo spazio domestico e chi lo abita soggetti al dominio incontrastato dell’uomo. La popolarità della loro poesia e del loro impegno testimonia la reattività della società russa, nonostante la pesante militarizzazione.