Basta con le Identity politics: non conta se sei oppresso ma se combatti l’oppressione

Nella sinistra postmoderna il discorso sull’oppressione tende a ridursi al punto di vista della vittima. Gli oppressi vengono collocati all’interno di un gruppo indifferenziato la cui unica cifra è l’oppressione stessa. Questo atteggiamento porta ai giudizi ad hominem, poiché non contano tanto le idee ma la posizione in cui si colloca chi le esprime: se non sei un oppresso, non puoi parlare di emancipazione. Se sei un “vecchio uomo bianco”, tenderai sempre e solo a voler mantenere i tuoi privilegi. Le discussioni su chi ha il diritto di parola dovrebbero però lasciare il posto alle discussioni su che cosa ha da dire.

Delegittimare il dissenso a sinistra non favorisce la giustizia sociale

Giustizia sociale

Nell’attivismo per la giustizia sociale in Occidente si è fatta strada una strategia censoria, più o meno intenzionale, che consiste nel collegare ogni forma di dissenso alla “vicinanza con l’estrema destra”. Ne sono vittime innanzitutto le femministe quando provano a criticare certi tratti misogini dell’attivismo LGBT, o l’approccio normalizzatore verso l’industria del sesso e altri temi. Questo modo di fare segue due logiche delegittimanti: ogni contro-argomento proverrebbe da un luogo moralmente sbagliato, e ogni presunta critica sociale sarebbe in realtà una teoria della cospirazione. Un modo efficace, scrive la studiosa Ester Kováts, per tappare la bocca a chi la pensa diversamente e negare ogni possibilità di dibattito.