Francia: un risveglio di popolo può fermare i prestigiatori del potere

Il presidente prestigiatore che incantava il pubblico con i suoi trucchi ha perso il tocco: Macron in Francia voleva ritrovare margini di manovra per completare il suo mandato quinquennale, ma dal cappello non è uscito l’atteso coniglio, bensì il caos a destra e una potente forza a sinistra, che potrebbe riservarci sorprese.

Quanto avvenuto il 9 giugno non può ridursi alla decisione presidenziale di sciogliere l’Assemblea nazionale, e nemmeno allo sconvolgimento dell’agenda elettorale, con una convocazione in brevissimo tempo quasi per produrre un effetto di paralisi, per impedire ogni riflessione diversa da quelle dettate dalle priorità elettorali. Né alla scelta per molti aspetti aberrante di rimandare la maggioranza relativa davanti al popolo, un popolo esso stesso relativo, se ci basiamo sui tassi di partecipazione alle elezioni. Se non l’ha creato, la decisione presidenziale di sciogliere l’Assemblea nazionale ha accelerato il processo di decomposizione/ricomposizione dell’intero spettro politico.

Nello spirito (hubris) presidenziale, si trattava di convocare alle urne i Galli refrattari al cambiamento, di ricordargli il loro dovere di popolo, di sfidarli, una forma di ricatto pseudo-gollista che sentiamo già ripetere sui media dai suoi epigoni: “Io o i due caos”. Nella peggiore delle ipotesi, era il calcolo presidenziale maturato da settimane: lasciare il potere al Rassemblement National avrebbe risolto il problema alla radice, avrebbe purgato la tentazione lepenista che aleggia nell’elettorato da 40 anni. Sottoposto alla cieca forzatura degli interessi messi a nudo e dei calcoli a breve termine, lo scioglimento ha fatto scoppiare una destra alle strette, con grande soddisfazione dell’Eliseo che ha qualificato il fatto per antifrasi e con un certo gusto come “chiarimento” come se questo fosse l’oggetto oscuro dell’intera operazione di “scioglimento”.

L’esplosione della destra cosiddetta repubblicana sotto gli auspici di un Éric Ciotti, perfetto nel suo ruolo di traditore da commedia, che riesce nell’impresa di tradire sia il suo partito originario sia quello di approdo, portando con sé oltre che le chiavi della sede del partito una fantomatica quinta colonna e monetizzando dozzine di deputati invisibili e increati come Le anime morte di Gogol. L’episodio, costantemente paragonato dai media a una serie piena di colpi di scena, ha tenuto banco per diversi giorni. Fino ad allora non si era mai visto un ladro rapinare un partito tutto da solo! L’impresa è valsa il suo peso in denaro o piuttosto in voti, saldati dalla produzione del Rassemblement National in termini di diritti d’autore. Il tradimento si è metastatizzato nel corpo di Reconquête, con il ritorno di Marion Maréchal Le Pen ne…

Interviste matrioska, i “grandi vecchi” che hanno fatto la storia

Pubblichiamo un estratto dal libro di Ennio Cavalli “Ci dice tutto il nostro Inviato – Un secolo di rivolgimenti e altre minuzie”, edito da Rubbettino editore. Incontri e cronache a cavallo fra il passato e il futuro, “interviste matrioska” con grandi personalità che hanno segnato la storia, dalla penna di un “poeta con i piedi per terra” come lo ha definito Luciano Canfora, che del libro ha curato la prefazione.

Gli inganni 
di Foucault

Nel quarantennale della morte di Michel Foucault, lo ricordiamo con l’estratto di un saggio/lettera pubblicato nel numero 8/2020 di MicroMega, che dedicammo al concetto di biopolitica, a chiusura del primo anno di pandemia da Covid-19. La pandemia aveva infatti riportato alla ribalta tale pilastro del pensiero filosofico di Michel Foucault, di enorme successo negli ultimi decenni, specie in alcuni ambienti del pensiero filosofico-politico di sinistra. In una lettera a Roberto Esposito, a tutti gli effetti il principale esponente della biopolitica in Italia, il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais si lanciava in una rigorosa e appassionata invettiva contro quello che in definitiva, per lui, non è che contraddizione e vuoto filosofico. Foucault, secondo d’Arcais, aveva promesso ipotesi verificabili e confutabili, le ha invece sostituite con ipostasi che del significato di quei fatti diventano matrice e demiurgo. La sua bestia nera finisce per essere l’impegno riformatore, anche il più radicale.

Turchia e Iraq, quell’accordo che sacrifica il Pkk. Reportage dal Kurdistan

Nell’aprile del 2024 Turchia e Iraq hanno ripreso le relazioni diplomatiche e il loro primo frutto è stato l’accordo “Iraq Development Road”, che prevede la costruzione di autostrade e ferrovie e una serie di ulteriori accordi in materia di cooperazione, sicurezza e gestione delle risorse idriche. Un accordo che in chiave geopolitica permette alla Turchia di intensificare la sua presenza nella regione, la cui vittima designata sarebbe soprattutto il Pkk, il partito dei lavoratori curdi.