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Mi è stato chiesto sovente se la decisione di pubblicare La tredicesima cattedra di Franco Cordero fosse un tributo alla memoria del saggista e alla autorevolezza del giurista, più che alla forza specifica del romanziere.
La mia risposta è sempre stata, fermamente, che “no”, La tredicesima cattedra è un romanzo importante rispetto alla storia letteraria di Franco Cordero (ove per letteraria intendo: storica, giuridica, di intervento politico), e importante in sé, senza che questi due aspetti possano o debbano essere eccessivamente distinti.
È un romanzo meraviglioso, nel senso letterale del termine, scomodo per il lettore che deve sempre aggiustarsi rispetto alla direzione che sta prendendo la narrazione, labirintico. E come in ogni labirinto ci si perde per provare più gioia nel ritrovarsi. È un romanzo esoterico, che aspira a diventare un romanzo carsico, che attraversa gli anni interrogando di volta in volta le diverse generazioni di lettori.
Ma è anche un romanzo in cui Cordero ha riversato la sua mente polimorfica, la vastità dei suoi interessi, le sue esperienze biografiche. Con una alternanza di registri, in cui non manca l’ironia, il gusto per la sferzata velenosa, non solo rivolta agli uomini, ma anche a Dio.
Dio è il grande imputato del libro. Il giudizio sul mondo universitario (che è la grande metafora del mondo umano) è troppo evidente per essere il vero protagonista. Il viaggio nella grande biblioteca dell’università è l’occasione per rivisitare il tema del Male. Il Male è troppo potente e troppo presente nella st…