[…] In quest’ottica, a rendere sconcertante l’intera vicenda è soprattutto l’attitudine lombarda, veneta ed emiliano-romagnola ad (auto)celebrarsi come l’avanguardia non tanto economica, quanto morale del Paese. Un’avanguardia che si pone a modello al resto dell’Italia e lamenta l’arretratezza altrui come un vulnus inflitto ai primi della classe, in una visione totalmente autocentrata che, rovesciando la realtà nel suo esatto opposto, si fa spudoratamente forza della denuncia della discriminazione al contrario patita dai migliori. Se a questo siamo giunti – a considerare morale abbandonare gli ultimi a se stessi e immorale richiedere ai primi solidarietà – è per responsabilità culturali e politiche risalenti nel tempo.
Responsabilità che affondano le radici in una visione complessiva delle relazioni sociali improntata all’esaltazione dell’individualismo, che hanno avuto modo di consolidarsi in una vera e propria ideologia, oggi dominante. «Avvicinare le istituzioni ai cittadini» è la sua parola d’ordine piú nota: una parola d’ordine il cui reale significato è, tuttavia, ben diverso da quel che solitamente si ritiene.
Avvicinare le istituzioni ai cittadini
«Bisogna avvicinare le istituzioni ai cittadini». Quante volte, in questi anni, lo abbiamo sentito ripetere? Che la questione fosse migliorare l’efficienza dell’azione pubblica, aumentare la sensibilità delle istituzioni ai bisogni della popolazione, responsabilizzare gli amministratori, controllare l’impiego delle risorse pubbliche, combattere l’astensionismo elettorale, la soluzione era sempre la stessa: avvicinare le istituzioni ai cittadini.
Che cosa voglia dire, in concreto, nessuno lo sa.
Come tutti gli slogan di successo, anche quello in questione ha una forza evocativa molto superiore alla sua capacità esplicativa. In effetti, verrebbe da chiedersi: c’è davvero bisogno di spiegarlo? Di fronte a una verità autoevidente, è bizzarro interrogarsi sul suo significato. La abbiamo detta e sentita talmente tante volte che non può che essere cosí! Eppure, se si considerano le implicazioni di tale visione sulle dinamiche politiche e istituzionali degli ultimi decenni – e, in ultima istanza, sulla vita pubblica –, un supplemento di riflessione sembra giustificato.
La perniciosa ideologia della sussidiarietà
Tutto muove dall’ideologia della sussidiarietà. A (dover) essere sussidiario, in tale visione, è l’intervento pubblico rispetto alle capacità private d’incidere sull’organizzazione dell’esistenza collettiva. Là dove un gruppo sociale è in grado di provvedere da sé, la “mano pubblica” non ha titolo per intervenire: questo è il cuore della sussidiarietà. La comunità locale, carente di una scuola per l’infanzia, è capace di attivarsi in autonomia? Che il pubblico si astenga dal fare alcunché. Ai bisogni di accudimento degli anziani riesce a far fronte il lavoro volontario di chi vive sul territorio? Che i servizi sociali si dedichino ad altro. Il dopo-scuola è garantito dall’operato delle associazioni di quartiere? Che i progetti per il tempo pieno siano riposti nei cassetti. È chiaro il motivo del fervore con cui la Chiesa cattolica promuove questa prospettiva: in quanto struttura socialmente radicata e capillarmente diffusa sul …