Il mio ateismo libertario fra don Giussani e Ludovico Geymonat

Ricordiamo il filosofo Giulio Giorello, scomparso il 15 giugno di un anno fa, ripubblicando questa sua testimonianza – uscita sul numero 5/2013 di MicroMega – nella quale, dall’insegnamento di religione di don Luigi Giussani agli incontri con il filosofo della scienza Ludovico Geymonat, ripercorre le tappe del suo percorso verso l’ateismo.

«Trovo conveniente non approfondire l’opinione di Copernico», mentre «importa… sapere se l’anima è mortale o immortale»: pensiero n. 218 (edizione Brunschvicg) di Pascal. E se invece ci interessassero di più i movimenti della Terra che l’immortalità dell’anima? Forse è stata un’eccezione nel paese Italia l’educazione offertami dai miei genitori, meno sensibili ai problemi teologici e più attenti alle questioni scientifiche – fin da quando, servendosi di un’arancia (per la Terra) e di una candela (per il Sole), cercavano di «dimostrarmi» come fossero plausibili la rotazione sul proprio asse del nostro globo e la sua rivoluzione intorno al Sole.

Quando ero in terza liceo classico, mi spedirono una sera ad assistere alla messa in scena al Piccolo Teatro della Città di Milano della Vita di Galileo di Bertolt Brecht. Mi ricordo di aver provato una forte commozione a sentire Tino Buazzelli – nei panni dello scienziato «fiorentino» – dichiarare: «Non mi importa di mostrare di aver avuto ragione, ma di stabilire se l’ho avuta… Se qualche scoperta seconderà le nostre previsioni, la considereremo con speciale diffidenza. E dunque, prepariamoci ora a osservare il Sole con l’inflessibile determinazione di dimostrare che la Terra è immobile! E solo quando avremo fallito, quando battuti senza speranza, saremo ridotti a leccarci le ferite, allora con la morte nell’anima cominceremo a domandarci se per caso… la Terra gira». All’università avrei poi scoperto, leggendo Karl Popper, che quella «diffidenza» si chiama atteggiamento critico e che il sospettare del nostro stesso successo è la molla della crescita della conoscenza. In quei mesi di tarda primavera in cui mi stavo preparando all’esame di maturità si alzavano dalle chiese milanesi novene affinché la divina Provvidenza facesse sì che quello spettacolo nemmeno debuttasse. Però, il Signore doveva essere distratto, e le cose andarono diversamente.

Negli anni trascorsi al liceo Berchet di Milano mi era toccato come insegnante di religione don Luigi Giussani, il quale sarebbe diventato poi fondatore del movimento cattolico di Comunione e liberazione. Insegnava non l’arte della diffidenza, ma quella della fiducia «nella tradizione dei propri genitori», dalla quale si sarebbe potuti risalire all’«incontro» con una rivelazione che racchiudeva il nucleo profondo della Verità (con tanto di maiuscola). Ora, mia madre era di famiglia palermitana, e le sue «radici» affondavano nel terreno della Sicilia «araba»; mio padre, ligure, alto quasi un metro e novanta e dalla pelle curiosamente scura, era uno di quelli che venivano ancora chiamati «figli di Dragut» cioè i discendenti dei rampolli che nel Cinquecento le donne della Riviera di Ponente avevano avuto dai pirati musulmani. Se Giussani avesse avuto ragione, avrei dovuto approfondire per prima cosa la tradizione islamica. Una volta gli chiesi se era così gentile da indicarmi la direzione della Mecca. Non gradì: …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.