“Di Dio si può dubitare, della cattedrale del sapere no”

Elisabetta Sgarbi, della casa editrice La Nave di Teseo, racconta a MicroMega perché decise di pubblicare il romanzo di Franco Cordero.

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Mi è stato chiesto sovente se la decisione di pubblicare La tredicesima cattedra di Franco Cordero fosse un tributo alla memoria del saggista e alla autorevolezza del giurista, più che alla forza specifica del romanziere.

La mia risposta è sempre stata, fermamente, che “no”, La tredicesima cattedra è un romanzo importante rispetto alla storia letteraria di Franco Cordero (ove per letteraria intendo: storica, giuridica, di intervento politico), e importante in sé, senza che questi due aspetti possano o debbano essere eccessivamente distinti.

È un romanzo meraviglioso, nel senso letterale del termine, scomodo per il lettore che deve sempre aggiustarsi rispetto alla direzione che sta prendendo la narrazione, labirintico. E come in ogni labirinto ci si perde per provare più gioia nel ritrovarsi. È un romanzo esoterico, che aspira a diventare un romanzo carsico, che attraversa gli anni interrogando di volta in volta le diverse generazioni di lettori.

Ma è anche un romanzo in cui Cordero ha riversato la sua mente polimorfica, la vastità dei suoi interessi, le sue esperienze biografiche. Con una alternanza di registri, in cui non manca l’ironia, il gusto per la sferzata velenosa, non solo rivolta agli uomini, ma anche a Dio.

Dio è il grande imputato del libro. Il giudizio sul mondo universitario (che è la grande metafora del mondo umano) è troppo evidente per essere il vero protagonista. Il viaggio nella grande biblioteca dell’università è l’occasione per rivisitare il tema del Male. Il Male è troppo potente e troppo presente nella st…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.