Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il 14 agosto del 1980 ai cantieri navali Lenin di Danzica si tenne lo sciopero che culminò con l’affissione delle famose 21 richieste davanti a uno dei cancelli e che diede un impulso decisivo alla nascita del sindacato Solidarność. Il Paese era già in fermento, soprattutto nella sua componente lavoratrice e operaia, ma la scintilla che in quell’occasione fece scoccare l’incendio fu il licenziamento per motivi politici della gruista prossima alla pensione Anna Walentynowicz, di cui si chiedeva il reintegro. Lì tutti conoscevano Anna e il motivo del suo licenziamento così come si conoscevano di persona, incontrandosi ogni giorno sul posto di lavoro, e proprio per questo avevano potuto concordare che quella mattina, alla vigilia del nostro Ferragosto, si sarebbero visti al cancello numero 2 da cui dare vita a uno sciopero. Sciopero che si protrasse con l’occupazione dei cantieri, i quali costituivano appunto il luogo fisico non solo della produzione ma anche dell’incontro e del confronto tra i lavoratori – ovviamente non solo ai cantieri navali di Danzica, scelti come un esempio tra tanti, seppur particolarmente celebre ed efficace.  

Da quel 1980 il mondo del lavoro è cambiato radicalmente: i processi di delocalizzazione della produzione in Paesi con manodopera a più basso costo hanno portato alla chiusura di diverse fabbriche nei Paesi più avanzati, in cui anche il settore terziario ha assistito a una sua parziale ma decisiva disgregazione soprattutto negli ultimi lustri in seguito all’avvento di Internet. Il forzato periodo di lavoro da remoto durante la pandemia di Covid-19, che ha di fatto allentato i pregiudizi sulla presenza fisica nel luogo di lavoro, qualora ne sussista ancora uno, ha inoltre portato diverse aziende a incoraggiare questa pratica in seguito all’abbattimento dei costi. Condizione, quella del classico lavoro a casa, già da tempo comune a molti freelance, che vivono una dimensione atomizzata, decisamente diversa da quella in cui operavano Lech Wałęsa e gli altri operai dei cantieri navali.

Tutto ciò ha avuto un forte impatto sui lavori dell’industria culturale, come racconta Lia Bruna, traduttrice e coordinatrice di Strade, la sezione dei traduttori editoriali della CGIL: “Nell’editoria libraria la digitalizzazione ha consentito, negli ultimi trent’anni, un vertiginoso aumento della produzione (in Italia oggi si pubblicano più di 200 nuovi titoli al giorno), cui si accompagna un calo costante del numero di lettori: gli editori puntano sui grandi numeri, per occupare gli scaffali delle librerie fisiche e virtuali, sperando di imbroccare il bestseller. Questa situazione è frutto di una precisa scelta di strategia industriale (anche incentivata da sussidi dispersivi e poco strutturali, come tax credit, sconti e incentivi al consumo), che oltre a penalizzare i piccoli editori non consente di pagare a sufficienza il lavoro. Inoltre, la disponibilità di software personali di videoscrittura e impaginazione (insieme alle riforme del diritto del lavoro) è ciò che a cavallo del Duemila ha permesso l’esternalizzazione delle mansioni redazionali, svuotando le case editrici, frammentando il processo produttivo e isolando i lavoratori: nessuno ha un controllo organico dell’opera (se non forse il marketing, che però la tratta solo come prodotto) e spesso si rende necessaria la mediazione di agenzie di service, che si prendono un pezzo del costo del lavoro. Il fenomeno quindi non ha solo precarizzato le mansioni esternalizzate, ma impoverito le condizioni di lavoro e abbassato i compensi di mercato per tutti gli anelli della catena, anche per chi, come scrittori e traduttori, è sempre stato freelance. Per sbarcare il lunario, tutti dobbiamo fare tutto (e di più), alla faccia degli anni di studio e specializzazione, e si finisce a far parte di più categorie, disperdendo così anche le rivendicazioni”.

Traduttore è anche Giovanni Campanella, oltre a essere sottotitolatore, una delle categorie professionali non ancora pienamente inquadrate di per sé. Come traduttore e sottotitolatore Giovanni Campanella si è dovuto confrontare con situazioni molto simili a quelle enucleate da Lia Bruna, fino a quando inavvertitamente è stata una delle multinazionali da cui riceveva commissioni a svelare che il re è nudo, mettendo in connessione quegli stessi lavoratori che si volevano dividere e sottopagare, che invece a partire da lì hanno dato vita a Tramiti, la sezione dell’associazione ACTA – su cui torneremo nel suo complesso – che riunisce i lavoratori impegnati nella traduzione multimediale: “Noi ci siamo formati come gruppo dopo che una delle più importanti multinazionali del settore ci aveva i…

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