Come non attendessero altro, dall’inizio della pandemia ogni giorno diversi intellettuali prendono parola per dire la loro sulla situazione. I suggerimenti possono essere più o meno buoni, sta di fatto però che non si chiedono mai se la crisi avrebbe potuto essere occasione per ripensare le forme della nostra convivenza democratica.
A questi intellettuali sembra completamente estranea l’idea che una scossa di proporzioni tali da sconvolgere le abitudini e le prassi della convivenza sociale imponga di fermarsi e di chiedersi se al termine della situazione eccezionale si possa andare avanti diversamente, e meglio, di prima.
Il corso della pandemia finora ha fornito diverse opportunità per riflettere su alcuni presupposti problematici del nostro ordine sociale e per avanzare proposte per nuove regole. E con questo non ci riferiamo al costante invito a ricordare il valore e il conforto delle amicizie e della famiglia. Nel frattempo abbiamo infatti dovuto imparare quanto questo invito possa essere un’arma a doppio taglio, giacché la qualità di queste relazioni personali spesso dipende da circostanze fortuite che non è possibile produrre a propria discrezione: la grandezza delle case, le condizioni economiche, la situazione lavorativa, l’essere inseriti in una rete sociale, la disponibilità di servizi per l’infanzia, così come il dono di saper stare da soli con se stessi e il disporre di capacità emotive per bilanciare vicinanza e distanza. Le notizie sull’aumento della violenza domestica durante il lockdown mostrano tutta&n…