Lavorare meno, lavorare tutti

Come curare i mali di una società in cui metà degli individui lavora troppo e l’altra metà non lavora affatto? Dalla creazione di lavoro pubblico per il welfare e la cura dell’ambiente al reddito di base incondizionato, fino alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: ecco i tre pilastri per costruire una società in grado di garantire il benessere di tutti i suoi cittadini.

Come prenderci cura di una società che è in evidente difficoltà? Il lavoro può avere un ruolo? E quale? La soluzione passerà anche dalla settimana di 4 giorni – quindi dalla redistribuzione del lavoro – ma, prima di arrivare lì, è utile delineare un quadro più ampio e una strategia che combini diversi interventi.

Per prima cosa occorre partire dal paradosso nel quale siamo immersi, del quale, però, sembriamo non renderci conto, come fossimo pesci che non vedono l’acqua in cui nuotano.

Abitiamo la società più prospera e produttiva della storia dell’umanità, eppure non siamo in grado di garantire il benessere di tutti quanti i suoi cittadini. Questa incapacità si manifesta in primis attraverso la disoccupazione che priva chi ne è colpito del reddito, del ruolo sociale – cioè del farci sentire capaci di fare ciò che serve – e dei diritti garantiti dal lavoro (cassa integrazione, maternità, infortuni, malattia, pensione…). Ciò non accade, come sembriamo spesso credere, perché siamo incapaci di produrre abbastanza beni e servizi per soddisfare la domanda, cioè perché mancano automobili o case per tutti. Se così fosse non avremmo altra soluzione che quella di lavorare di più per produrre di più.

Al contrario, la disoccupazione esiste perché la nostra capacità produttiva eccede strutturalmente la capacità della domanda, cioè perché non ci sono abbastanza persone che possano permettersi di acquistare le automobili che produciamo e le case che costruiamo. Non riusciamo a garantire un lavoro a tutti perché produciamo già una quantità di beni e servizi maggiore di quella che serve per rispondere ai nostri bisogni materiali e quindi, letteralmente, non c’è abbastanza lavoro da fare. In una società dell’abbondanza c’è una difficoltà crescente nel creare nuovo lavoro socialmente necessario.

Trasformiamo una buona notizia – siamo in grado di produrre sempre più beni e servizi utilizzando sempre meno lavoro – in una cattiva notizia. Così da oltre 30 anni ci arrovelliamo attorno alla piaga della disoccupazione, senza aver ancora trovato una soluzione efficace.

Continuano a esserci milioni di disoccupati, sottoccupati e sfiduciati, la crescita è stagnante da an…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.