Perché Facebook ha sospeso il programma di riconoscimento facciale

Il blocco del progetto di riconoscimento facciale da parte di Facebook ha riaperto il dibattito sui rischi delle tecnologie, ancora immature, che consentono di identificare una persona mediante i dati biometrici del volto. Ne discutono Matteo Flora, esperto di cybersecurity, e Guido Scorza, componente del Garante per la privacy.

Meta blocca il progetto di riconoscimento facciale all’interno di Facebook. Su questo tema si sono confrontati Matteo Flora, docente di Corporate Reputation & Business Storytelling, CyberSecurity e Data Driven Strategies, e Guido Scorza, avvocato, giornalista, professore a contratto di diritto delle nuove tecnologie e componente del Garante per la protezione dei dati personali. Un botta e risposta su uno dei temi caldi del mondo digitale.

MATTEO FLORA – Partiamo dallo spiegare cosa è il riconoscimento facciale, cioè la possibilità, prendendo una fonte di video, dalla telecamera fuori dal campanello di casa fino alle telecamere sparse un po’ ovunque, di rintracciare una persona di cui abbiamo i dati biometrici del volto. Oggi il riconoscimento facciale è una delle tecnologie più controverse perché consente, senza bisogno che l’organo inquisitorio debba mettere in atto chissà quali sforzi, di individuare volti ma anche mappare, su migliaia di telecamere, gli spostamenti delle persone in modo automatico. Breve cronologia: Ibm un paio di anni fa, per la pericolosità insita all’interno della tecnologia, decide di uscire da questo mercato; Amazon, che ha un framework meraviglioso, Recognition, che consente a chiunque, in pochi minuti, di prendere una faccia e farla riconoscere in una serie vastissima di video, anche in tempo reale, ha applicato una moratoria in quanto il programma era usato dalle forze di polizia; infine Meta, la controllante di Facebook, pochi giorni fa decide di spegnere la possibilità di usare il riconoscimento facciale che veniva usato, ad esempio, per suggerirti chi c’era nelle fotografie e per dire a Tizio “guarda che Caio ha pubblicato una foto in cui c’è presumibilmente la tua faccia”. Ma la cosa che fa più riflettere è che Meta ha deciso di distruggere una miliardata abbondante di identità in suo possesso, e usata come “training”, volti che sono ancora nella disponibilità di Facebook. In mezzo a tutto questo, in Italia ci sono state città su città che – in barba a quello che dice il Garante – vogliono fortemente implementare “cose di intelligenza artificiale”. Questo era il tutto. Guido, ci fai tu un excursus di cosa è accaduto in questo ultimo periodo?

GUIDO SCORZA – Parto dalla vicenda di attualità, da Meta che dice “spegniamo il riconoscimento facciale”, perché ci sono almeno tre aspetti in questa decisione che suscitano un po’ di curiosità e sono utili per scalare verso un discorso più ampio. Il primo: perché Facebook – Meta nel novembre del 2021 spegne o almeno sospende l’utilizzo di una tecnologia che ha difeso con le unghie e con i denti per anni, spendendo una vagonata di soldi in sanzioni e risarcimenti dei danni? Per difendere il ricorso a questa tecnologia si sono beccati prima una sanzione miliardaria dalla Federal Trade Commition e poi hanno pagato oltre 600 milioni di dollari ai consumatori dell’Illinois a valle di una class action. Questo deve farci accendere una lampadina. Poi ovviamente prendiamo per buono il risultato per cui ci sarà meno …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.