da MicroMega 1/2011 [Acquista il numero completo]
1. Giustizia – oggi, in Italia – è sinonimo di disastro incombente. L’inefficienza del sistema è ormai cronica. Le procedure continuano a essere bizantine. La durata interminabile dei processi (civili e penali) frustra le pretese di legalità dei cittadini. Il sistema delle pene resta irrazionale, con applicazioni incerte e casuali, mentre si rafforza l’irrazionale illusione che la pena efficace sia quella esemplare e «gridata», non quella giusta e tempestiva. L’Italia dei furbi, degli affaristi e degli impuniti continua imperterrita la sua gara (spesso vincente) con l’Italia delle regole. Stentano a essere sufficientemente garantiti diritti fondamentali e regole basilari di convivenza. Le polemiche fra giurisdizione e politica non accennano a placarsi.
Contemporaneamente, le paure dei cittadini e le tensioni sicuritarie, invece di essere affrontate anche sul piano sociale e su quello della prevenzione (generale e specifica), vengono «governate» ricorrendo esclusivamente allo strumento – spesso inadeguato – della repressione penale, veicolando controproducenti irrigidimenti autoritari, fino a confondere i problemi del degrado urbano con quelli della sicurezza e favorendo il diffondersi di derive di intolleranza. Ridotta all’impotenza nei confronti delle bancarotte, delle corruzioni, delle concussioni, dei falsi in bilancio e dell’intera criminalità dei potenti, la giurisdizione è invece chiamata a interventi «efficienti» e talvolta crudeli nelle direttissime e nei processi per i reati di strada, specie quando protagonisti ne siano immigrati clandestini. Di qui la compresenza di due distinti codici: uno per i «galantuomini» (cioè le persone giudicate, in base al censo o alla collocazione sociale, comunque per bene, a prescindere…); l’altro per cittadini «comuni» o «diversi». Nel primo caso il processo – con i suoi tempi biblici – è destinato soprattutto a misurare l’attesa finché al giudice si sostituisca la prescrizione che tutto cancella; nel secondo caso la giustizia, pur funzionando malamente, spesso segna in modo pesante e irreversibile la vita e i corpi delle persone. Ed è superfluo osservare che la compresenza di due distinti codici è la negazione stessa del principio di legalità, che presuppone almeno una tendenziale uguaglianza di fronte alla legge.
Meritano almeno un cenno i gravi problemi del carcere. Centrale, è la questione della composizione della popolazione detenuta. I tossicodipendenti negli ultimi anni sono rimasti attestati intorno al 25-30 per cento del totale (si tratta per lo più di persone finite in carcere non per il solo fatto di aver assunto droghe, ma per i reati commessi in ragione di tale necessità). Il grande aumento si registra sul versante degli stranieri, che ormai sono più della metà, in alcuni istituti – soprattutto metropolitani – oltre il 60 per cento. Indubbiamente alla base di tale situazione vi è la scelta di improntare la normativa in materia di immigrazione a criteri quasi esclusivamente di repressione penale, senza preoccuparsi più di tanto della loro sostanziale inadeguatezza. Nel contempo (per esaudire, malamente, l’ossessiva richiesta di sicurezza) sono aumentati gli ostacoli che diminuiscono – e per gli stranieri di fatto impediscono – la possibilità di misure alternative. Per la massa di detenuti stranieri extracomun…