L’asilo, da diritto a concessione

Come nell’ultimo decennio l’Europa “democratica” ha rinnegato il diritto di asilo per i migranti in fuga da povertà, guerre e violenze. Proponiamo la prefazione al volume “Respinti” di Duccio Facchini e Luca Rondi (Altreconomia).

Questo prezioso libro ci aiuta a comprendere il drammatico cambiamento in termini di tenuta dello Stato di diritto che è avvenuto in Europa e alle sue frontiere nell’ultimo decennio, in particolare dal 2015.

Come si può vedere fin dal quadro d’insieme offerto dal primo capitolo, il fenomeno dello sradicamento forzato a livello globale è passato dai quasi 43 milioni di persone nel 2012 agli 82 milioni nel 2020. Quasi un raddoppio nell’arco di soli otto anni. Questi dati ci dicono che l’idea ancora molto diffusa di vivere in un mondo tutto sommato pacificato è radicalmente falsa; l’epoca che stiamo vivendo (già ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina) è invece la più violenta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Gran parte dei conflitti e delle estese violazioni dei diritti umani dell’ultimo decennio sono avvenute (e sono in corso) in aree geografiche dell’Asia e dell’Africa più o meno vicine al territorio europeo ma, anche quando distanti, l’Europa, rimane comunque per chi fugge un’area sicura del mondo più raggiungibile di altre, ugualmente ricche e sicure ma inaccessibili come il Nord America. Il vertiginoso aumento dei migranti forzati avvenuto nell’ultimo decennio a livello globale avrebbe dovuto avere quale logica conseguenza un parallelo aumento dei rifugiati in Europa, ma così non è stato. Non solo: come si può ben vedere dall’accurata analisi condotta in questo volume, c’è un fenomeno opposto e sorprendente, una costante e drastica diminuzione degli arrivi dei migranti forzati in Europa. Saremmo stati ingenui a pensare che l’esplosione del numero di chi fugge avrebbe portato l’Europa a divenire il continente dei rifugiati; né è strano che gli Stati europei, abbiano ritenuto di dover rafforzare anche i confini esterni della Ue e assumere altre misure, per evitare possibili scenari di difficile gestione. Ciò che sorprende è che l’Unione europea nel suo complesso non abbia accettato ciò che nel rispetto del proprio stesso ordinamento giuridico in materia di difesa dei diritti umani fondamentali non avrebbe potuto che accettare, ovvero prepararsi ad accogliere un ben maggior numero di rifugiati rispetto alle decadi precedenti.

Per gestire in modo il più possibile ordinato questa crescita l’Europa avrebbe dovuto affrontare scelte complesse: quali politiche comuni di reinsediamento (che non vi sono state) adottare; quali accordi realizzare con i Paesi terzi “di transito” per evitare arrivi incontrollati; quali rinforzi attuare nelle misure di sicurezza alle frontiere (argomento che non va considerato un tabù da chi difende i diritti umani); quale riforma dell’inadeguato Regolamento Dublino III mettere in atto, in modo da dare attuazione ai principi di solidarietà e mutuo riconoscimento delle responsabilità, anche finanziarie, tra gli Stati membri e altre. Tematiche sulle quali i diversi approcci politici si sarebbero dovuti confrontare, anche aspramente, in una normale dialettica democratica, ma senza negare l’obiettivo politico di fondo: dare una risposta al problema dell’aumento dei rifugiati rimanendo all’interno del quadro di diritto che l’Europa si è data con i Trattati. Purtroppo nulla di quanto sopra è accaduto. L’Europa …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.