Crisi alimentare: stop alle sanzioni?

L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli non è colpa delle sanzioni alla Russia. Per uscire dalla crisi alimentare senza offrire a Putin l’impunità per i suoi crimini è necessario combattere la perdita e lo spreco di cibo e ridurre la quota di cereali utilizzata per l’alimentazione del bestiame.

Il “chernozem” è un terreno estremamente fertile con un alto tasso di sostanza organica (5%) fino a un metro di profondità, o anche più. Storicamente, questa “terra nera” ha conferito all’Ucraina la reputazione di “granaio” dell’Impero russo e dell’Europa. Nell’ambito della globalizzazione neoliberista, il granaio è diventato mondiale: nel 2018 l’Ucraina è stata il quinto produttore al mondo di mais, l’ottavo di grano, il primo di girasole, il terzo di grano saraceno. Il 12% delle importazioni mondiali di cereali proviene dall’Ucraina e alcuni Paesi ne sono estremamente dipendenti, in particolare in Medio Oriente e Africa (il Libano al 51%, la Tunisia al 41%, l’Egitto al 21%, la Somalia al 70%). Anche la Russia è un grande produttore di grano, così che un terzo di questo cereale a livello mondiale proviene da questi due Paesi.

Saccheggio imperialista

Non si sottolinea abbastanza il fatto – ovvio – che l’appropriazione del “chernozem” e della sua produzione è uno degli obiettivi economici che l’imperialismo russo persegue attraverso la sua guerra di aggressione contro il popolo ucraino. Per il Cremlino si tratta di rafforzare il proprio peso geostrategico sulla scena mondiale, giocando sull’immensità del suo territorio ricco di risorse (minerarie, energetiche e agricole), ed estendendolo attraverso la conquista. È bene ricordare che circa il 40% del grano ucraino viene prodotto nelle regioni orientali e meridionali, che sono le più direttamente ambite da Mosca. “La guerra è il perseguimento della politica con altri mezzi”, ha affermato Clausewitz. Il blocco dei porti, l’incendio dei raccolti, i campi minati, i missili lanciati contro i silos e la distruzione delle strutture portuali ucraine fanno parte di questo quadro, così come l’accaparramento delle scorte (circa 500.000 tonnellate rubate via Crimea, secondo Kiev), l’occupazione di fattorie e il furto di macchine agricole nei territori temporaneamente occupati dall’esercito russo.

Istanbul: un accordo fragile

Gli accordi di Istanbul sulla ripresa delle esportazioni di grano ucraine non significano che Putin abbia rinunciato a questo obiettivo. L’attacco lanciato contro il porto di Odessa il giorno dopo la firma di questi due testi (Russia e Ucraina hanno siglato due accordi separati, con la Turchia e con le Nazioni Unite) dimostra che non è così. È più probabile che Mosca abbia deciso di sottoscrivere l’accordo per una serie di motivi militari (l’aumento delle capacità di attacco dell’esercito ucraino nel Mar Nero, concretizzatosi nella riconquista dell’Isola dei Serpenti), diplomatici (per coltivare l’immagine di una grande potenza responsabile, in particolare nei confronti dei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente più minacciati dalla crisi alimentare) ed economici (sebbene l’export di grano russo non sia soggetto a sanzioni). Il ricatto della crisi alimentare globale – con diffusi aumenti dei prezzi e fame nel Sud del mondo – continua a far parte de…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro, la sinistra si è appiattita su posizioni monetariste e ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.