Quando lo “ius scholae” non basta: essere giovani cinesi a Prato

A Prato, nella provincia con la maggior incidenza di persone di origine cinese in Italia, i giovani vivono una situazione di doppia tensione: da una parte la cittadinanza italiana non gli viene riconosciuta, dall'altra la mentalità dei genitori li mantiene ancorati all'identità cinese. Il risultato è che a scuola rischiano di rimanere per sempre compressi nel ruolo di "cinesi che studiano materie italiane" e non riescono a sviluppare un'identità libera dal nazionalismo.
cittadinanza cinese a Prato

“Sono nata a Genova e ho sempre vissuto in Italia: per questo mi sento italiana, ma gli stessi italiani mi considerano ancora una straniera per il mio aspetto”. Sono le parole di Giorgia Gao, studentessa 17enne cinese del liceo Gramsci-Keynes di Prato, la città italiana con la più alta percentuale di residenti cinesi tra la popolazione locale (14,3%). Il senso perenne del vivere da ‘separati in casa’ colpisce i residenti cinesi della città toscana i quali, nonostante stiano cercando di vivere un periodo di “normalizzazione” dopo essere stati radicati sul territorio da oltre 40 anni nel distretto produttivo tessile della periferia, vivono tensioni nascoste e irrisolte. “Queste frizioni sembrano essere diminuite solo perché ultimamente non vengono strumentalizzate a fini politici o affrontate nel dibattito pubblico”, afferma il sociologo Fabio Bracci, spianando una potenziale strada ad una possibile “distensione integrativa” tra le due comunità.

 Ciò che si osserva tuttavia, ad oggi è altro: la piccola provincia italiana è una terra di nessuno in termini di cittadinanza e opportunità per la giovane generazione dei cinesi nati in Italia. Il Parlamento italiano non ha mai approvato la proposta di legge dello ius scholae, un testo costituzionale che avrebbe dato diritto di cittadinanza a tutti gli studenti stranieri che hanno frequentato uno o più cicli di apprendimento per almeno 5 anni nelle scuole appartenenti al sistema educativo nazionale. Una possibilità estesa anche ai minori non nati in Italia, ma entrati nel Paese entro i 12 anni di età. Una proposta legislativa che sarebbe stata in grado di creare inclusione per 877.000 alunni (il 10% dell’intera popolazione scolastica) con background migratorio che frequentano le scuole italiane, ma che sono ancora considerati “stranieri”. Il 65% di loro è nato nella Penisola ed è di fatto ‘straniero in patria’.

Ora, con il nuovo governo di destra guidato da Giorgia Meloni, la riforma della legge sulla cittadinanza non è più una priorità politica. “Che senso ha per me diventare italiana” – sottolinea Giorgia – “se la nazionalità cinese mi continua a dare più vantaggi amministrativi?“. Come Giorgia, la pensano allo stesso modo anche Monica, Sofia, Teresa, Kelly, altre ragazze cinesi che vivono e studiano a Prato. Le sue parole, tuttavia, entrano leggermente in contrasto con quelle della compagna di banco Angela Ye, una liceale cinese anche lei nata in Italia e disposta a confrontarsi con la possibilità di cambiare nazionalità. “Forse in futuro” – ammette – “ma prima dovrei cambiare la concezione che ho di me stessa, visto che per il momento mi sento più cinese che italiana“. La sua cultura e lingua cinese, che la circondano quotidianamente, purtroppo sono ancora più forte del suo processo di interazione sociale ed integrazio…

Il maschilismo dei dati

La gran parte delle decisioni negli ambiti più disparati oggi viene presa a partire dai dati. Dati che però nella stragrande maggioranza riguardano solo ed esclusivamente gli uomini.

Le radici biologiche del linguaggio umano

Studiare da un punto di vista evolutivo il linguaggio umano è un’operazione estremamente complessa poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e non lasciano tracce. Ma lo studio del canto degli uccelli ci fornisce un prezioso strumento comparativo per perseguire tale scopo.

La crisi della sinistra e il problema della proprietà

Abbandonando il tema del lavoro appiattendosi su posizioni monetariste, la sinistra ha rinunciato anche ad affrontare propriamente il tema della proprietà. Riguardo quella pubblica, per allontanarsi dal nazionalismo comunista sovietico, ha osteggiato ogni forma di demanializzazione e nazionalizzazione dei beni e delle produzioni, favorendo privatizzazioni, svendite degli assets economici prioritari a tutto danno del Paese e a favore di grandi potenze multinazionali. Ma la gestione condivisa dei beni collettivi non può essere trasferita alla sfera privata.