1963, la musica della rivolta nera

Sessant'anni fa si teneva la marcia per i diritti civili di Washington, nella quale Martin Luther King pronunciò il suo celebre discorso "I have a dream". A rendere memorabile quella giornata non furono solo le parole del reverendo ma anche tanta musica. A sfilare, alcuni fra gli artisti che più hanno segnato la storia della musica del Novecento.
Marcia per i diritti civili di Washington

Negli anni Sessanta i discorsi con cui John Fitzgerald Kennedy promuove la sua candidatura, per quanto appaiano dirompenti sul piano delle aperture verso nuovi e più avanzati diritti civili, sono interpretati dai neri d’America come poco più che retorici. Sono ancora parole. Per rivendicare altro, fatti concreti, decine di migliaia di manifestanti partecipano alla grande marcia organizzata a Washington da Martin Luther King. Dai gradini del Lincoln Memorial, in quel 28 agosto del 1963, il Dr. King pronuncia il suo storico discorso ad una folla mai vista prima: “Ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sogno oggi!”

Tanti gli spunti in quell’orazione leggendaria, ma dentro quella manifestazione c’è tanta musica, una partecipazione, anche in quel caso, mai vista. Le canzoni alla testa dei cortei degli afroamericani servono, talora, a spiazzare gli idranti della polizia, ad impedire, o quanto meno rendere più difficile, lo scioglimento delle marce. Ma lì sono anche altro, sono la costruzione di impalcature sonore, che trasportano nel tempo il senso di quella marcia, musica e versi che non si esauriscono quel giorno.

Su quei gradini del Memorial Lincoln la sorpresa più grande è vedere due ragazzi bianchi ancora non così universalmente conosciuti. Joan Baez e Bob Dylan hanno dalla loro la forza delle parole e d’una melodia che catturano quei 250.000. Cantano e suonano Blowin’ in the wind, la rendono l’inno senza tempo più universale contro la guerra, contro ogni discriminazione, per i diritti civili negati, contro ogni ingiustizia. Il lungo cordone della marcia lo capisce subito. Così lo stesso Dylan descrive quel brano immortale: “Non c’è molto che possa dire circa questa canzone tranne che ‘la risposta soffia nel vento’. Non è in nessun libro o film o programma TV o gruppo di discussione. È nel vento – e sta soffiando nel vento. Troppe di queste persone hip cercano di dirmi dove stia la risposta ma io non ci credo. Io continuo a dire che …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.