L’hip hop ha cinquant’anni ed è ancora eversivo

Per caso, in un festa tenutasi nel Bronx, cinquant'anni fa nacque l'hip hop. Un genere inizialmente dai principi etici e culturali saldi, successivamente fagocitato dall'industria. Un genere che ancora oggi, nonostante tutte le sue contraddizioni, riesce a mantenere la propria carica eversiva.
hip hop

A New York, l’11 agosto si festeggia mezzo secolo d’un genere musicale che può dirsi rivoluzione; mancano solo le candeline, il resto pare pronto. Nel 1973 quartieri come il Queens, il Bronx, Harlem sono ghetti malsani – e non è che oggi le cose siano completamente cambiate. Negli anni Ottanta Ronald Reagan, visitando il Bronx, si lascia scappare “Non avevo mai visto una cosa simile dai tempi della Londra bombardata dai nazisti”. Le abitazioni fatiscenti ospitano la minoranza afroamericana; altre, in particolare quella ispanica, si aggiungono. Già nel 1959 la Cross-Bronx Expressway spezza in due il Bronx: per farla si buttano giù case, palazzi, fabbriche. In tanti perdono il lavoro, ritrovandosi a vivere in case sovraffollate, in condizioni di autentica disperazione. Le ragioni ideologiche che spingono la politica a tagliare i fondi pubblici a sostegno di quei luoghi sono le stesse che si propongono viabilità più efficienti, strade che spazzano via interi rioni, la creazione di spazi vitali per altri generi abitativi, per i centri commerciali. Alla rabbia delle minoranze per la propria condizione e che alimenta l’attivismo politico negli anni Cinquanta e Sessanta, si sostituiscono nel reflusso dei primi anni Settanta disillusione e violenza. Le gang proliferano e quei quartieri diventano suburbie off limits. La speranza non è più nelle corde di chi ci vive, l’arrangiarsi ed aggregarsi in forme criminali pare l’unico orizzonte possibile. Scontri, disordini, saccheggi sono una costante per chi vive lì.

È questo il contesto in cui, in un condominio sovraffollato del Bronx, Cindy Campbell, una giovane studentessa di origini giamaicane, decide di dare una festa per raccogliere soldi per comprare dei vestiti. Distribuisce volantini nei dintorni, vuole che ci sia molta gente. Chiede al fratello Clive di occuparsi di fare un po’ di musica, dato che lui fa il dj con il nome di Dj Kool Herc. È l’11 agosto del 1973, la festa comincia. Ma Clive non fa esattamente quello che gli viene probabilmente richiesto, non si presenta con l’attrezzatura più convenzionale e una pila di dischi funk per far ballare tutti. Va oltre, non lo sa, ma è lì a fare la storia della musica. Da sgamato dj capisce che tutti amano le parti più ritmate dei pezzi, quelle con basso e batteria che si ripetono a lungo, come in certi pezzi dub che tolgono il cantato dal reggae e ne riproducono il tappeto ritmico. Si porta dietro un paio di giradischi e un mixer, ha due copie di ciascun disco. Sceglie quelli che hanno parti ritmiche accentuate, …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.