Remoti e ridenti: le emoji come simbolo dell’assenza di empatia

Oggi viviamo molto tempo connessi alla rete e tante delle nostre conversazioni si svolgono a distanza. In questo modo di comunicare le emoji la fanno da padrone. Simbolo della comunicazione visiva, le emoji rappresentano una comunicazione che avviene attraverso la vista, uno dei sensi meno coinvolgenti, che ci fa percepire gli altri come lontani. Vittima di questa lontananza è l’empatia, la cui assenza è all’origine di molti fenomeni sociali aberranti in cui l’altro non trova spazio se non come oggetto del nostro narcisismo.

È stato stimato che, nel Medioevo, una persona nel corso di tutta la sua vita entrava in contatto con pochissime rappresentazioni, all’incirca 40 – solitamente immagini sacre ospitate nei luoghi di culto come dipinti, vetrate e affreschi -, e aveva quindi tutto il tempo per assimilarle. Oggi, invece, vediamo approssimativamente 400mila immagini al giorno, che potrebbero essere anche di più in ragione delle ore di connessione alla rete che, in media, sono state quantificate in 6 ore e 42 minuti. Immediatamente balza all’attenzione che nell’arco di un anno fanno quasi tre mesi online e in totale il 27% della nostra vita.

Quando nel suo saggio Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? (1996) il sociologo francese Jean Baudrillard affermò che l’attenzione dell’uomo si era distolta dal mondo naturale per concentrarsi sulla seduttività delle immagini, forse non aveva ancora messo in conto la pervasività e la potenza dei nuovi media – ormai neanche più tali. Questo, se non nell’annientamento della realtà, almeno in rapporto alla sua profonda riprogettazione culturale. Secondo le previsioni dell’International Data Corporation (IDC), infatti, nel 2025 saranno creati o replicati 180 Zettabytes di dati.

Ad oggi TikTok resta l’app più scaricata e quella su cui si passa in media più tempo (il suo utente medio apre l’applicazione 19 volte al giorno, mentre i bambini scrollano contenuti fino a 75 minuti al giorno), Facebook la più nota, seguita da Youtube, Whatsapp, Instragram e WeChat. Gli utenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni sono il più grande pubblico pubblicitario di Snapchat con i suoi oltre 5 miliardi di messaggi creati quotidianamente. Si fa sempre più necessario, dunque, evitare di perdere tempo con discorsi estenuanti, con indugi comunicativi da pensiero complesso, con un eccesso di parole inutili che frammentino l’attenzione di chi ascolta o di chi parla. Il web è venuto incontro ai suoi utenti/clienti, promettendo l’agognato risparmio di tempo – con buona probabilità per continuare a spenderlo in rete – provando a concentrare tutto in una sola immagine.

Ecco offerto, dunque, e per tutti i browsing lo psico-linguaggio emozionale: l’emoij! [1]

Ma davvero quest’ultimo vale più di tante parole?

Circa il 96% delle persone intervistate usa regolarmente le emoji quando comunica, secondo quanto reso noto attraverso un sondaggio su 1000 persone di diversi Paesi in occasione della Giornata Mondiale dell’Emoji del 17 luglio 2023 (ricorrenza, questa, istituita nel 2014 da Jeremy Burge, fondatore di Emojipedia, il sito che raccoglie e cataloga tutte le faccine digitali).

Se le emoji più usate nel 2013 sono state nell’ordine “Face with Tears of Joy” 😂 e “Smiling Face with Heart-Eyes” 😍, “Face Blowing a Kiss” 😘 e “Ok Hand” 👌, quelli più utilizzati a distanza di dieci anni sono risultati “Face with Tears of Joy” 😂, “Rolling on the Floor Laughing” 🤣, “Red Heart” ❤️, “Folded Hands” 🙏 e “Loudly Crying Face” 😭.

Tenendo conto anche delle più recenti creazioni, al luglio dello scorso anno,  l’or…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.