In Germania il fanatismo pro-Israele ha imboccato una spirale pericolosa

Mentre la repressione della solidarietà palestinese penetra in ogni settore della vita, l'immagine della Germania come Paese civile, cosmopolita e aperto sta rapidamente diventando una storia che i tedeschi possono raccontare solo a sé stessi.

Nota della redazione: A questo articolo di fine marzo che qui traduciamo è seguita una serie di iniziative che ne hanno reso il contenuto ancora più cogente, fra cui la disdetta di un ciclo di conferenze di Nancy Fraser (di cui pubblichiamo qui un’intervista) e la repressione del Congresso di solidarietà con il popolo palestinese che era previsto a Berlino dal 12 al 14 aprile. Le forze dell’ordine tedesche hanno di fatto sabotato il Congresso, impedendo l’ingresso alla maggior parte dei partecipanti, facendo irruzione in sede staccando la corrente e impedendo che i dibattiti potessero proseguire. In precedenza avevano già negato il visto d’ingresso nel Paese ad alcuni eminenti ospiti che erano stati invitati a parlare, fra i quali il medico chirurgo anglo-palestinese Ghassan Abu-Sittah, rettore dell’Università di Glasgow. Anche al leader politico greco Yanis Varoufakis, del movimento Diem25 candidato alle elezioni europee, è stato impedito di pronunciare il suo discorso al Congresso.

Dopo anni in cui la Germania si stava dedicando a restringere lo spazio per la solidarietà con la Palestina, l’intenso giro di vite sulla libertà di espressione verificatosi sulla scia dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e della conseguente aggressione di Israele alla Striscia di Gaza ha sorpreso pochi osservatori. Tuttavia, la frenesia che ha circondato il prestigioso festival cinematografico internazionale della Berlinale alla fine di febbraio ha portato l’assurdità del fanatico filoisraelismo tedesco a nuovi livelli.

Basel Adra e Yuval Abraham – rispettivamente palestinese e israeliano, entrambi scrittori di lunga data per +972 Magazine e Local Call – sono stati censurati dai politici tedeschi dopo che il loro film, “No Other Land“, ha vinto il premio per il miglior documentario e il premio per il documentario preferito dal pubblico al festival. Gli attivisti, che sono due dei quattro co-registi e soggetti del film, hanno usato i loro discorsi di accettazione come piattaforma per sfidare la violenta oppressione dei palestinesi da parte di Israele e la complicità della Germania nella guerra a Gaza.

In risposta alle parole di Adra e Abraham, circolate ampiamente sui social media, il sindaco di Berlino Kai Wegner, dell’Unione cristiano-democratica (CDU), li ha tacciati di “intollerabile relativizzazione” e “antisemitismo”. Il ministro della Cultura tedesco Claudia Roth ha insistito sul fatto di aver applaudito solo “l’ebreo israeliano… che ha parlato a favore di una soluzione politica e di una coesistenza pacifica nella regione”, ma apparentemente non il suo collega palestinese, che ha parlato a favore della stessa cosa. Questo applauso selettivo è ancora più bizzarro se si considera che il discorso di Abraham era specificamente critico nei confronti del trattamento differenziato a cui lui e Adra sono sottoposti nel sistema di apartheid israeliano.

Queste denunce pubbliche sono diventate un evento regolare in Germania, così come gli appelli a una maggiore censura e le minacce di taglio dei fondi ai movimenti e alle iniziative, che immancabilmente conseguono. L’atmosfera di sospetto generalizzato si è fatta sempre più fitta, minacciando di soffocare la scena culturale del Paese, notoriamente vivace e internazionale.

Nelle rare occasioni in cui gli accusati sono molto noti e le accuse così assurde da attirare l’attenzione internazionale, tali scandali possono servire da monito al mondo, sia per quanto riguarda la traiettoria illiberale della Germania, sia per quanto riguarda i pericoli posti dall’imposizione di politiche favorevoli a Israele nella sfera pubblica.

Divieti draconiani
All’indomani del 7 ottobre, la Germania ha imposto un divieto quasi totale sulle manifestazioni a favore della Palestina. Le poche manifestazioni autorizzate (a causa delle loro dimensioni ridotte o del messaggio gradevole), o che si sono svolte in barba al divieto, sono state in gran parte disperse dalla polizia, alcune in modo violento.

In un esempio sorprendente: a Berlino alcuni genitori hanno organizzato una protesta contro la violenza nelle scuole dopo che un insegnante era stato registrato mentre colpiva fisicamente uno studente che portava una band…

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

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Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.