Cannes 2024: lontano dal red carpet, i 10 film da non perdere

Nonostante i media diano più spesso spazio a quanto avviene sul red carpet, il Festival di Cannes rimane soprattutto cinema. Un cinema fatto anche di tanti gioielli che spesso sfuggono dai radar e che proprio per questo vi segnaliamo qui, con tanto di titoli, autori, trame e trailer.

Il Festival di Cannes è l’evento mondiale con più accreditati al mondo dopo le Olimpiadi: questo aiuta a capire per quali ragioni, oltre ad essere una vetrina unica per la scoperta di talenti, interpreti, cinematografie da qualsiasi angolo del pianeta, setacciare le sue sezioni (soprattutto quelle con una spiccata attitudine alla ricerca di nuovi autori, tematiche sensibili, modi produttivi che mirano ai contenuti e non solo ai profitti: Quinzaine des cinéastes, Un certain regard, Semaine de la critique) significa anche poter sorvolare da una prospettiva unica storie e idee, problematiche e conflitti che giacciono negli angoli bui dei media e nelle correnti profonde che attraversano a qualsiasi meridiano società e cultura. Dal deserto del Gobi alle pendici delle Ande, dalla buona borghesia fiamminga agli slum del sud dell’India, dalla fantasia lussureggiante degli anime giapponesi al documentario di strada dell’Egitto meridionale, dal melò gay brasiliano al neonoir di Taiwan, in questa selezione ci sono tutti i colori di un cinema che ha tenuto deste le percezioni di gremite platee lontano dal red carpet della montèe de marsh che furoreggia in tutti photo call dei media e dei social. La prima palpabile qualità di questa selezione di dieci film è una geolocalizzazione dallo spettro ampio quanto il web ma dall’ incandescenza di drammaturgia, tematiche e dettaglio infinitamente maggiore. La violenza patriarcale in India o sulle rive del Nilo, il sesso e le molestie su adolescenti nello sport, lo sguardo e la società dei disabili, la corruzione e la politica in tutto il mondo, appaiono in questa mappa cinematografica globale con la evidenza che solo lo stile del cinema, che metabolizza cronaca e attualità in immagini e suoni, sguardi e personaggi, racconti ed emozioni, è in grado di generare e offrire incondizionatamente ad una platea. Ecco 10 film di cui troverete rade segnalazioni on line e nulla sui giornali e che val la pena di recuperare se avranno la fortuna di trovare una distribuzione in sala o che, più verosimilmente, prima o poi, potreste incontrare in streaming.

Baby di Marcelo Caetano alla Semaine de la critique

All’uscita da un centro di detenzione minorile, Wellington scopre che i suoi genitori si sono trasferiti altrove e non hanno alcuna intenzione di avere più a che fare con lui: alla deriva, per le strade di San Paolo, incontra Ronaldo, con il quale inizia una convivenza fatta di amore omosessuale e prostituzione. Ne conosce la figlia, avuta da un precedente matrimonio, e la ex moglie che ha, a sua volta, una convivenza lesbica. Il tutto somiglia a qualcosa come una famiglia, anche se radicalmente alternativa. Ma Wellington, che si fa chiamare Baby, ha una bellezza ed una personalità che non possono essere possesso di nessuno e che lo porteranno, inevitabilmente, a vivere avventure suggestive e pericolose. La vita di strada è raccontata con la curiosità ribelle e anticonformista degli anni Sessanta e Settanta ma la forza del film sta in una insospettabile curvatura romantica che lo assorbe definitivamente nel finale travolgente di fronte al quale una platea commossa gli ha tributato una standing ovation interminabile.  

Bakeneko Anzu-chan (“Anzu, gatto fantasma”) di Yoko Kuno e Nobuhiro Yamashita – alla Quinzaine des réalisateurs

Dopo la morte della moglie, un padre, spiantato, affida la figlia Karin, di 11 anni, al nonno, un monaco che vive in un tempio rurale insieme ad Anzu, un “gatto fantasma” di 37 anni, alto come un orso e ghiotto come un bambino. È a lui che Karin chiede aiuto quando, rendendosi conto che il padre non si farà mai più vivo, cerca di contattare la madre nell’ aldilà, insieme a una picaresca compagnia di creature fantastiche: la rana del campo da golf, il fungo barbuto, il dio della sfortuna. Dovranno vedersela con una legione di spiriti agguerriti dell’inferno. Sarà la madre, che è ad essi asservita, a negoziare un armistizio che è anche un arrivederci per la piccola Karin. Un immaginario dal movimento plastico, il cromatismo d’acquarello e la stilizzazione elementare, alla Myazaki, dà vita, sullo sfondo di un Giappone contemporaneo, ad una fiaba che mescola, come nei libri di Murakami, l’animismo della tradizione, il potere della fantasia dell’infanzia e i drammi della vita.

Black dog di Guan Hu – a Un certain regard

Siamo nel 2008, alle soglie dell’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino, in una cittadina svuotata e completamente diroccata che si trova nei pressi del deserto del Gobi: una distesa lunare, arsa, di color pomice e fango secco, dove i camion si ribaltano perché inseguiti da torme di cani randagi. Lang vi ritorna dopo aver scontato una condanna per omicidio involontario e, mentre lavora per la pattuglia locale incaricata di liberare la città dai cani, si imbatte in un levriero antracite, sospetto di rabbia, con il quale, contro tutto e tutti, instaura un legame ermetico e toccante: entrambi sembrano oggetto di persecuzione ed emarginazione da parte di un mondo stremato dalla sopravvivenza e dalla cappa di un potere remotissimo e inviolabile. Libération ha paragonato questo deserto, e la città distrutta percorsa da moto che alzano ali di polvere, a una versione politica della saga di Fury Road presentata a Cannes in concorso. Grandi applausi in sala: presente anche il cane protagonista.

Julie Zwijgt di Leonardo Van Dijl – alla Semaine de la critique

Gioca a tennis meglio dei protagonisti di Challengers e come attrice sembra altrettanto dotata Tessa Van Der Broek nel ruolo che compare nel titolo del film (che significa “Julie è rimasta silenziosa”). La sua vita di astro nascente della racchetta incrocia lo scandalo che coinvolge il suo allenatore, per del sesso con minori (un’altra allieva si è suicidata apparentemente senza ragioni note). È legato a ciò il fatto che entri in crisi con il suo rendimento scolastico, indugi nel silenzio e nella depressione, incalzata da insegnati e dai genitori? L’insistenza invisibile e solerte della macchina da presa coincide con la prossimità dello sguardo del film e degli spettatori.  Prodotto dai fratelli Dardenne, è un esordio di un cineasta belga che mette in luce un cinema di intelligenza e concentrazione (solo o quasi inquadrature fisse, costruzione di dialoghi, incroci sensibili di sguardi, volée a rete) che illumina la cura adulta di vicinanza e vigilanza, il supporto a distanza dei più fragili, e dei più giovani, quando hanno a che fare con le proprie ferite. Tutti segnali che parlano di un autore da tenere d’occhio.   

Locust di Keff – alla Semaine de la critique

Di giorno lavora in una trattoria tradizionale a conduzione famigliare, di notte collabora con una banda di gangster riscuotendo con minacce e percosse crediti di strozzini e rapinando rampolli di buona famiglia dopo averli adescati con giovani escort. Nonostante ciò, Zhong Ho, vent’anni, muto, ma non sordo, è il protagonista che emana una misteriosa innocenza in questo neonoir di cui è autore un regista taiwanese che ha come nome d’artista Keff e ha studiato a New York con Spike Lee. In queste notti violacee fatte di cruda violenza, techno d’acciaio nelle discoteche e soliti ignoti vessati da boss, politici e speculatori, Keff racconta un pezzo dell’altra Cina da un punto di vista inconsueto e rivelatore, mentre riverberano qua e là nelle news gli scontri per la repressione delle manifestazioni a Hong Kong. “Spero che uscendo dalla sala possiate avere una idea diversa di Taiwan, che non è solo il Paese dove potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale”, ha detto il regista introducendo il suo film.

La mer au loin di Saïd Hamich – alla Semaine de la critique

Nour, 27 anni, spesso in compagnia di amici con l’ultimo “bicchierino di ritorno dalla discoteca in attesa di un bacio, un momento sublime in una vita da cui non si aspettava molto”, come ha scritto Les Inrockuptibles, è un emigrato illegale a Marsiglia. In seguito a una retata incontra Serge, un poliziotto dalla personalità insospettabile, e sua moglie, Noémie. Entrambi finiranno per segnare profondamente gli affetti della sua vita, fino a un ritorno in Marocco, dopo 10 anni in Francia, che aprirà un bilancio di rimpianti e sensi di colpa, a causa dell’aperto disprezzo della madre nei confronti della sua integrazione francese e della scoperta di un destino di infelicità che ha inflitto, senza saperlo, a un’antica morosa. La vita dei migranti, sospesa tra mondi, costumi e legami inconciliabili di culture e Paesi diversi, è raccontata con il tempo di un romanzo e con una coralità di voci, sentimenti e amicizie che ricordano la nostalgia e il sentimentalismo di una ballata.

Rafaat Einy di Nada RiyadhAyman El Amir – alla Semaine de la Critique

Nel sud dell’Egitto, un gruppo di giovani ragazze forma una compagnia di teatro di strada che, un po’ alla maniera del teatro politico degli anni Settanta, mette in scena agli angoli delle strade e in piazzette polverose azioni simboliche destinate a smascherare la repressione familiare e sociale delle donne e il potere patriarcale. Sognando di diventare attrici, ballerine e cantanti, sfidano e interrogano passanti, autorità, i residenti locali e anche le loro famiglie, cristiane osservanti della chiesa copta, con esibizioni di singolare audacia per il loro contenuto e la contagiosa vitalità. Girato in quattro anni, racconta anche, inevitabilmente, il viaggio di giovani ragazze che diventano donne: di persone che diventano personaggi. Come ha scritto Africinè: “La messa in scena è costruita con un gioco di specchi che permette di sondare dall’interno la coscienza delle ragazze, facendoci conoscere anche il dolore che provano quando rinunciano ai loro sogni o resistono e lottano per realizzarli”.

Shameless di Konstantin Bojanov – a Un certain regard

Nadira, in fuga da un bordello dopo aver pugnalato a morte un brutale agente di polizia, si rifugia in una comunità di prostitute nel sud dell’India, dove si innamora di Devika, una ragazza di 17 anni che vive in una casa di appuntamenti che da bambina la prepara per venderne la deflorazione. La loro impossibile relazione finisce per diventare una sorta di detonatore in una società patriarcale e repressiva che al potere vede un’endemica collusione di politica, corruzione e sfruttamento delle donne che subiscono senza difesa sottomissione e stupro. Riusciranno a fuggire da tuguri ed alcove, slum e discariche dove la loro vita è costretta a cercare il riparo segreto di un amore? La vita della protagonista, dominata da schiavitù sessuale, tossicodipendenza, minacce criminali, illumina con sciabolate di luce sinistra un’India di sobborghi angusti e vite miserabili, di sopraffazione e violenza, che culmina in un linciaggio mortale alla fine di un comizio.

Simón de la montaña di Federico Luis Tachella – alla Semaine de la critique

Simón è un giovane di 21 anni che vive ai margini delle Ande e frequenta un gruppo di disabili dallo spirito ribelle, rubando furgoni, gettandosi nei laghi, cercando di fare del sesso: c’è un posto per loro in un mondo che non sembra proprio essere pensato per assicurarglielo? Insieme a loro, tenta di farsi spacciare anch’egli come portatore di condizioni di fragilità mentale, facendolo così bene che anche lo spettatore e in famiglia (dove non prendono la cosa per il verso giusto, soprattutto la madre) devono farci i conti. Un po’ Qualcuno volò sul nido del cuculo, un po’ Mommy di Dolan (la scena più impressionante è quella di una colluttazione familiare, in cucina, piena di violenza e odio), è un’opera scomposta, vitale, anche confusa, che tallona una manciata di freaks con rari momenti di dolcezza e un quotidiano senso di smarrimento in una natura selvaggia ed estranea, ma è un esempio singolare di cinema scappato di casa che guarda in modo sconosciuto i figli di un dio minore.

Vingt dieux di Louise Courvoisier – a Un certain regard

Toton, 18 anni portati malissimo visto che ne dimostra 13, passa il tempo nelle balere del Giura con il suo gruppo di amici quando il destino gli assesta un improvviso montante: alla morte del padre, deve prendersi cura della sua sorellina di 7 anni e trovare un modo per guadagnarsi da vivere. Si lancia allora in una sfida assurda ma avvincente: produrre il miglior formaggio della regione (il Comté) per vincere 30mila euro ad un concorso agricolo locale. Tra le montagne e le stalle, la birra e le autocisterne di latte, le sveglie contadine all’alba e l’odio tra compaesani, questo esordio di Louise Courvoisier, che ha fatto citare il cinema working class di Ken Loach: “Si prende il tempo per filmare la coagulazione del latte, la decalcificazione, l’agitazione”, ha scritto infatti TroisColors. È anche il tempo della vita, della scoperta del sesso, della lotta per il rispetto del lavoro e della conoscenza di sé, che rendono questo coming of age rurale un piccolo, compatto, monile.

 CREDITI FOTO: Paradiso Film. Fotogramma tratto dal film Julie Zwijgt

Moneta e mercato prima del capitalismo. La lezione di Marc Bloch

Per gentile concessione dell’editore Mimesis, pubblichiamo l’introduzione al libro “Lineamenti di una storia monetaria d’Europa” di Marc Bloch, tra i massimi studiosi del Medioevo. Un gigante non solo della storiografia, ma del pensiero e della lotta per la libertà, come dimostra la sua morte per mano nazifascista.

Biennale Teatro 2024, intervista ai direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte

La Biennale Teatro 2024, in programma dal 15 al 30 giugno 2024, è la quarta e ultima diretta da Stefano Ricci e Gianni Forte (in arte ricci/forte). Ripercorrere le tre precedenti edizioni da loro dirette e fornire anticipazioni su quella che si appresta a iniziare ci fornisce anche il pretesto per una riflessione a 360° sul teatro, la comunicazione e l’arte nel mondo contemporaneo.

Never forget 1984: l’India a 40 anni dal massacro sikh

Nel giugno del 1984 veniva lanciata in India contro il movimento indipendentista sikh l’operazione “Blue Star”, che portò a migliaia di morti. La reazione condusse all’omicidio del premier Indira Gandhi per mano delle sue guardie del corpo, proprio di origine sikh. Ne seguirono in tutta l’India veri e propri pogrom contro questa minoranza, verso la quale l’attuale governo indiano continua ad avere un atteggiamento ambiguo. Minoranza che ci è più vicina di quanto sembra, data la presenza in Italia di numerosi suoi membri, impiegati nel settore agricolo e in quello dell’allevamento.