Per gli organismi in difesa dei diritti umani è stata una doccia fredda: nel pieno dei preparativi per la commemorazione del sessantesimo anniversario del colpo di Stato in Brasile, Lula ha sorpreso tutti dichiarando di non voler rivangare il passato.
L’anniversario sarà trattato «nel modo più tranquillo possibile», ha dichiarato il presidente il 27 febbraio in un’intervista a RedeTv!, affermando di essere «più preoccupato per il golpe del gennaio del 2023 che per quello del ‘64», e mostrando dunque di non ritenere la memoria storica così importante affinché il passato non si ripeta. Per lui, il colpo di Stato di sessanta anni fa «fa ormai parte della storia» e i militari di oggi «erano bambini a quel tempo: alcuni neppure erano nati». Per cui, ha detto, «non voglio continuare a rivangare»: è, al contrario, il momento di «ricostruire la fedeltà dei militari».
In mezzo alle indagini sui fatti golpisti dell’8 gennaio dello scorso anno che hanno investito in pieno le forze armate, Lula, insomma, non ha alcuna voglia di aprire un nuovo fronte polemico con i militari, ritenendo che la strada migliore sia far passare tutto sotto silenzio. E pazienza se per il sessantesimo anniversario c’era chi all’interno del governo avrebbe voluto che l’evento fosse commemorato in maniera adeguata, a cominciare dal ministro per i diritti umani Silvio Almeida, il quale lo scorso anno aveva presieduto a una serie di iniziative durante la settimana del “Mai più. Memoria Restaurata, Democrazia Viva”, mentre quest’anno si è visto costretto a cancellare un evento, programmato per il Primo aprile, che avrebbe ricordato le vittime del regime militare nel Museo della Repubblica a Brasilia.
Chi invece non resterà in silenzio saranno i militari: il Clube Militar realizzerà un evento il 27 marzo a Rio de Janeiro per celebrare quello che viene da loro definito come «movimento democratico» del 1964. E a parlare, tra gli altri, ci sarà il generale in pensione Maynard Marques de Santa Rosa, già a capo della Segreteria speciale per gli Affari strategici della presidenza della Repubblica durante il primo anno del governo Bolsonaro e distintosi in passato per le sue critiche alla Commissione nazionale per la verità, a suo dire guidata da «fanatici».
Il golpe del 2023 e quello del ’64
E in silenzio non era di certo rimasto Bolsonaro, durante i quattro anni del suo mandato e anche prima, quando, nel momento in cui il governo di Dilma Rousseff aveva disposto la ricerca dei resti delle vittime legate alla guerriglia dell’Araguaia, un movimento nato negli anni Settanta contro la dittatura militare, Bolsonaro aveva collocato nel suo ufficio un cartello con la scritta «Desaparecidos dell’Araguaia? A cercare le ossa sono i cani». O quando, all’epoca dell’impeachment contro la presidente Rousseff, aveva dedicato il suo voto al colonnello torturatore Carlos Alberto Brilhante Ustra, ex capo del Doi-Codi (l’organo di intelligence e di repressione del regime militare).
Da presidente, poi, Bolsonaro non avrebbe avuto freni, sostenendo come nel 1964 non si fosse registrato alcun colpo di Stato, bensì la nascita di un’unione tra civili e militari…