Enrico Berlinguer, conoscerne il pensiero oltre il mito depoliticizzato

Il santino propagandato da media mainstream e conosciuto dalle nuove generazioni è un Enrico Berlinguer dimezzato: ricordato per la sua capacità di creare empatia e connessione sentimentale con un “popolo della sinistra” oramai sempre più rarefatto, ma sostanzialmente depoliticizzato perché espunto da quella tradizione comunista alla quale Berlinguer si rifece, in modo innovativo e creativo, per tutta la sua esistenza, convinto che andasse cercata una via nuova al socialismo e al superamento dell'oppressione capitalistica sull'umanità e sul Pianeta.

Sono trascorsi quarant’anni. A distanza di ormai così tanto dalla sua scomparsa, è possibile affermare come la fama, l’affetto e la notorietà che ancora contraddistinguono la figura di Enrico Berlinguer, non sempre si accompagnino ad una reale valorizzazione della sua eredità politica. Come sottolineato polemicamente da un commentatore di area moderata come Marcello Sorgi, ad essersi affermata è l’immagine di “San Berlinguer”, sarebbe a dire, un Berlinguer “demineralizzato” e ridotto a santino in ragione delle sue telegenia e rettitudine sul piano morale. In fondo era questo il nocciolo della narrazione portata avanti dal noto docufilm diretto da Walter Veltroni dieci anni fa. E anche lì, nulla di nuovo sotto il sole, ponendosi quell’operazione cinematografica in perfetta continuità con la linea culturale fatta propria dal gruppo dirigente post-comunista dalla svolta della Bolognina (con cui si metteva fine all’esperienza del PCI) in poi. A partire da Occhetto, e passando per D’Alema, lo steso Veltroni, Fassino e compagnia cantante, malgrado le differenti sfumature, la scelta compiuta dai dirigenti post-comunisti è stata imperniata sulla volontà di preservare il senso di appartenenza prodotto da una figura come quella di Berlinguer, inserendolo sì nel proprio pantheon, ma valorizzando scientemente solo quegli aspetti e quei tratti caratteriali compatibili con il vuoto “nuovismo” di marca (neo)liberal-progressista incarnato da PDS, DS e PD (i diversi partiti originati dalla dissoluzione del vecchio partito comunista).

Ad essere operata in maniera chirurgica è stata, nei fatti, una vera e propria scissione, finalizzata ad isolare il Berlinguer della “questione morale” e dello “strappo” con l’URSS, il Berlinguer democratico e “brava persona” (riprendendo la bella definizione di Giorgio Gaber) o il Dolce Enrico (come lo cantò Antonello Venditti e lo ricordano tanti ancora oggi), dal Berlinguer dirigente di primo piano del movimento comunista internazionale e teorizzatore – sulla scia della riflessione di Gramsci e Togliatti – di una “terza via” (nessun riferimento a Tony Blair, poi apocrifo), di un “nuovo socialismo” capace di fare i conti con i limiti delle realizzazioni del movimento operaio e dei modelli che a partire da esse sono venuti definendosi. Il “San Berlinguer” propagandato da media mainstream e conosciuto dalle nuove generazioni è quindi, prevalentemente, un Berlinguer dimezzato, proprio come nel capolavoro del suo quasi coetaneo e a sua volta membro del PCI Italo Calvino, ricordato insomma essenzialmente per la sua capacità di creare empatia e connessione sentimentale con un “popolo della sinistra” oramai sempre più rarefatto (ma che, come mostrano i risultati italiani delle ultime elezioni europee, in presenza di programmi, temi e parole d’ordine capaci di esprimere radicalità può ancora essere mobilitato e coagulato), ma sostanzialmente depoliticizzato perché espunto da quella tradizione comunista e da quegli “ideali di gioventù” che ne rappresentano l’imprescindibile background.

Se dunque oggi ha un senso non solo ricordare, ma studiare Berlinguer, il suo pensiero, così come la sua azione alla testa del più grande partito comunista occidentale, è proprio in virtù della sua capacità di unire tradizione e innovazione, restando sì fedele agli “ideali della sua gioventù”, ma – al tempo stesso – storicizzandoli nel quadro di un accurato bilancio storico del socialismo e lavorando ad una “terza fase” della lotta per una società altra. Si tratta evidentemente di un repertorio ideale e politico vasto e non facile da attualizzare, sia per la distanza che ci separa da quella stagione, sia per via della profondità dell’analisi che sostiene e suffraga ciascuno dei grandi temi proposti da Berlinguer. Ricordiamo alcune di queste piste di ricerca.

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