Prendersi cura: il lavoro indispensabile

Non solo il lavoro di cura tradizionalmente inteso, ma il prendersi cura dei lavoratori, così come dell’ambiente e delle relazioni sociali, è sempre più indispensabile per la sopravvivenza.

La pandemia ha messo a fuoco, enfatizzandone la necessità e, per alcuni, acuendone le difficoltà di conciliazione con la prestazione lavorativa remunerata, il lavoro di cura che viene svolto quotidianamente in famiglia, nei confronti dei più piccoli o più fragili, ma anche verso adulti autosufficienti, come atto più o meno (spesso meno) di sostegno e attenzione reciproca. Un lavoro che è svolto in larga misura dalle donne in famiglia, come madri e mogli e, quando si tratta di bisogni di persone anziane fragili, anche figlie. Ma questo processo di messa a fuoco ed accentuazione non è avvenuto nello stesso modo per tutti, a parità di condizioni familiari. Non è avvenuto nello stesso modo e con la stessa intensità per gli uomini e le donne, non è avvenuto nello stesso modo per chi ha potuto lavorare a distanza e chi, se non ha perso il lavoro, ha dovuto lavorare in presenza.

La pandemia – e in particolare la fase del lockdown – ha, infatti, introdotto un nuovo tipo di disuguaglianza, ampiamente sottovalutata: quella tra le occupazioni che possono essere svolte a distanza, seppur con tutta la fatica del caso, e le occupazioni che possono essere svolte solo in presenza; categoria all’interno della quale si distinguono le professioni che – proprio per questa loro caratteristica – sono state soggette a chiusura (pensiamo ai settori della ristorazione, del turismo…) e quelle che sono rimaste in attività, con tutti i conseguenti pericoli rispetto al contagio. Mi ha colpito che, tra i lavoratori giustamente salutati come eroi (in particolare gli addetti alle professioni sanitarie) non ci si sia mai ricordati delle commesse dei supermercati o dei lavoratori della logistica o dei trasporti che hanno continuato a prestare servizio, in alcuni casi anche con una intensificazione dei carichi di lavoro, perché era più richiesto da noi consumatori, in mancanza di alternative.

Su …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.