Per un’ecologia della rete

In un mondo ormai dominato dalle leggi non scritte di internet e degli algoritmi, la difesa della neutralità della rete – come sua appartenenza all’umanità intera, non agli Stati o alle grandi piattaforme – è il principale vaccino contro il Nuovo Pensiero Unico che regge l’economia e la politica globale.

Libertà d’espressione, quanti delitti si commettono in tuo nome. Che anche libertà d’espressione e di parola possano diventare un pretesto, in Italia lo sappiamo benissimo. Basta considerare le vicende del ddl Zan: legge-manifesto quasi illeggibile, come tutte le leggi italiane recenti, ma che sancisce un principio sacrosanto, e che è stata accusata pretestuosamente di proibire la libera espressione del pensiero (omofobico). Accusa infondata: basta leggersi l’art. 4 del ddl, introdotto da un emendamento di Enrico Costa quand’era ancora in Forza Italia.

L’art. 4 precisa che l’espressione di opinioni (omofobiche) è libera “purché non idone[a] a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Detto altrimenti, a essere puniti sono pur sempre comportamenti discriminatori e violenti, non opinioni: principio stabilito in due secoli di giurisprudenza statunitense sul Primo emendamento, come vedremo. Invece, tutta la discussione italiana, compreso l’intervento a gamba tesa della Chiesa, s’è svolta sotto il pretesto d’una minaccia alla libertà di espressione.

L’uso pretestuoso della libertà di espressione di cui si parla qui, d’altra parte, è molto più antico, serio e influente. Riguarda originariamente il diritto statunitense, ma poi si è esteso a tutti noi internauti, perché la diffusione di internet sul pianeta continua ad avvenire sotto la protezione della freedom of expression e del free speech americano. Con la pretesa, tipica del libertarianism californiano delle origini, che anche nel resto del mondo internet, come manifestazione di tali libertà, possa espandersi senza limiti e controlli statali.

Le fonti di quest’idea stanno in due caposaldi del diritto statunitense: il Primo emendamento (1791) alla Costituzione federale statunitense (1787), e la sezione 230 del Communications Decency Act (1996). Entrambe le disposizioni tollerano anche altre interpretazioni, ma le corti americane, con decisioni vincolanti solo negli Usa ma influenti anche altrove, le interpretano come vediamo subito. Il Primo emendamento recita: «I…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.