Diario filosofico. Frammenti (1950-1964)

In questi frammenti Arendt riflette, con impietosità e nettezza, su totalitarismo e ‘male radicale’, Marx e America, fine della tradizione e libertà nel presente, verità e politica, evidenziando debiti e distanze nei confronti di Heidegger.

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Presentazione di Luca Savarino

Il dovere quotidiano del pensiero

La pubblicazione del Denktagebuch 1950 bis 1973 di Hannah Arendt – del quale, per la prima volta, vengono presentati al lettore italiano alcuni frammenti* – è un evento editoriale importante. E ciò non soltanto per la mole e per la qualità editoriale dell’opera: i due volumi, egregiamente curati da U. Ludz e I. Nordmann, raccolgono 28 quaderni manoscritti conservati negli Hannah Arendt Papers della Library of Congress di Washington, corredati da un ricco apparato di note e di strumenti bibliografici, di cui fanno parte un prezioso indice dei nomi e degli argomenti, oltre a due dizionari per le citazioni greche e latine. Completa l’opera un ventinovesimo quaderno, interamente dedicato a Kant.

A rendere significativa la pubblicazione del Denktagebuch, e auspicabile la sua traduzione in italiano, sono ragioni di ordine strettamente filosofico. Nella gran quantità di appunti, pensieri, citazioni e commenti di opere filosofiche, scritti a mano nel corso di più di un ventennio, il confronto di Hannah Arendt con gli autori della tradizione filosofica occidentale e con le questioni decisive del secolo appena trascorso assume le vesti di un corpo a corpo quotidiano con i testi, e possiede una nettezza e una radicalità per certi aspetti sorprendenti.

La data d’inizio del «diario» – giugno 1950 – è estremamente significativa: Hannah Arendt aveva appena portato a termine Le origini del totalitarismo, che sarebbe stato pubblicato l’anno seguente, ed era reduce da un soggiorno di circa tre mesi in Europa, il primo dopo la sua fuga negli Stati Uniti e la fine della seconda guerra mondiale. Gran parte delle riflessioni contenute nel Denktagebuch costituiscono il tentativo di venire a capo di un fenomeno, il totalitarismo, che il libro appena terminato aveva certo definito nei tratti essenziali, ma di cui occorreva comprendere il significato, e, soprattutto, le conseguenze, da un punto di vista filosofico.

La nascita dei movimenti totalitari ha prodotto una rottura del corso della storia occidentale. La tradizione è finita e nulla, ora, può più essere come prima: l’esperienza totalitaria ha reso inutilizzabili la maggior parte delle categorie e dei criteri di giudizio in campo filosofico, etico, giuridico e politico. Ma, pro…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.