La libertà di stampa fra censura e politicamente corretto

Il caporedattore di Charlie Hebdo – giornale satirico francese la cui redazione nel 2015 fu decimata dai terroristi islamici – denuncia le nuove forme di attacco alla libertà di espressione che arrivano soprattutto non più dal potere politico ma da gruppi sociali, religiosi e culturali.

Non vi parlerò subito di Charlie Hebdo. Vi parlerò prima di un altro giornale. Un giornale che oggi è considerato IL modello da seguire dalla maggior parte dei più importanti giornali progressisti europei. Il New York Times. A luglio 2019, il prestigioso e autorevole quotidiano americano ha deciso di rimuovere definitivamente le vignette politiche dalla sua edizione internazionale, come già da qualche mese succedeva per quella nazionale.

Il motivo, o meglio il pretesto: una polemica scoppiata in seguito alla pubblicazione di una vignetta di Trump e Netanyahu firmata dal fumettista portoghese Antonio Moreira Antunes e ritenuta antisemita. Un pretesto, perché con la decisione radicale che ha preso, la direzione del New York Times ha chiaramente affermato che, dal suo punto di vista, il problema non era l’antisemitismo, ma le vignette. Il New York Times non vuole più problemi. E le vignette, le caricature, la satira, poiché raramente fanno ridere i leader politici e i personaggi pubblici che attaccano e poiché innescano reazioni sempre più esplosive all’interno di gruppi che si autoproclamano difensori esclusivi di una causa o di una comunità, sono fonte di problemi.

Dire che questa è una grande sorpresa sarebbe un’esagerazione. Il New York Times non ha deciso da un giorno all’altro di diventare un distributore di banalità inoffensive la cui principale ossessione non è tanto informare i propri lettori e aiutarli a capire l’attualità, quanto piuttosto non dare fastidio a nessuno. Già nel 2006 si era rifiutato di pubblicare – come la maggior parte dei suoi omologhi – le caricature di Maometto di Jylland Posten. A gennaio 2015 lo stesso fece con la copertina di Charlie Hebdo post-attentato, intitolata “Tutto è perdonato”, sempre in nome di un grande giornalismo “responsabile” ansioso di non offendere nessuno. In passato, uno dei vanti della stampa era di scatenare le passioni. Oggi, la sua più grande ambizione è soprattutto non fare scalpore.

Lasciamo per un momento gli Stati Uniti – su cui torneremo più avanti – per discutere il caso di un altro autorevole quotidiano, questa volta francese: Le Monde, che ha avuto problemi analoghi, qualche mese fa, con uno dei suoi fumettisti, Gorce. Nella newsletter del giornale, Gorce ha fatto ironia su un caso che in quel momento stava facendo molto rumore. Si trattava di un caso di incesto che coinvolgeva Olivier Duhamel, ex direttore della prestigiosa scuola di scienze politiche Sciences-Po di Parigi. Nella sua vignetta, Gorce ha fatto dire a uno dei suoi personaggi: “Se ho subito un abuso dal fratellastro adottivo della ragazza di mio padre transgender diventato mia madre, è incesto?”. Subito un putiferio sui social, dove la vignetta è stata accusata di disprezzare le vittime dell’incesto e, soprattutto, di essere odiosamente “transfobica”. Altrettanto immediate sono arrivate le scuse di Caroline Monnot, la nuova direttrice editoriale di Le Monde, per questa vignetta che, scrive, …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.