Ghassan Kanafani, strappato alla vita troppo presto

Da “Uomini sotto il sole” a “Ritorno a Haifa”. A 50 anni dall’assassinio dello scrittore palestinese che con i suoi romanzi ha aiutato gli occidentali a comprendere la Nakba palestinese, la traduttrice italiana ne ripercorre l’opera.

Sono passati cinquant’anni da quell’8 luglio del 1972 in cui Ghassan Kanafani (1936) veniva assassinato, e ancora oggi il suo ricordo rimane vivo nei suoi libri, attraverso le traduzioni e le numerose edizioni apparse in tutta Europa. Io all’epoca ero una studentessa e frequentavo la biblioteca dell’Istituto per l’Oriente di Roma. Ricordo perfettamente quando i collaboratori della rivista Oriente Moderno ne parlarono sbigottiti. Uno dei redattori, che si firmava P.G.D. (Pier Giovanni Donini), volle pubblicare la notizia nella rassegna stampa che la rivista pubblicava regolarmente: «L’8 luglio il giornalista e scrittore Ghassan Kanafani, esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplo), è stato assassinato a Beirut insieme a sua nipote di diciassette anni (Lamis)». Un comunicato secco, forse l’unico che apparve in Italia. Seguiva un’altra notizia flash: «Il 20 luglio sono state scoperte altre quattro buste esplosive, indirizzate al defunto Ghassan Kanafani…».

Ecco quello che si sapeva di questo scrittore fino a quando una decina di anni dopo, finalmente in grado di poter leggere e tradurre un testo arabo, mi fu offerta l’occasione da Biancamaria Scarcia, che era stata mia professoressa alla Sapienza, di tradurre un romanzo di Kanafani in italiano.

Scegliemmo Uomini sotto il sole, che la critica araba indicava come l’opera più importante dello scrittore. Fino ad allora non avevo mai tradotto dall’arabo un romanzo intero, solo alcuni racconti, e quell’avventura mi attirava, certamente, ma mi caricava anche di ansia e di una enorme responsabilità: e se non ne fossi stata capace? Non fui lasciata sola, gli amici palestinesi e, in particolare Wasim Dahmash, rividero il testo che avevo tradotto, dandomi consigli e facendomi capire quelle espressioni arabe che forse, per la mia inesperienza, non avevo completamente afferrato. Tradurre quel romanzo di Kanafani pian piano divenne un piacere, la sua scrittura scorreva fluida e si fondeva con la commozione per la storia di quei tre disgraziati, un ragazzo, un giovane e un vecchio (che forse aveva solo una cinquantina di anni, ma così lo rappresentava lo scrittore). Una storia che ti entrava dentro. Si trattava di tre persone che fuggivano dalla miseria dei campi profughi per cercare di reagire alle ingiustizie di …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.