Il grande romanzo americano di Stan Lee

Nel centenario dalla nascita, un omaggio all’uomo che aveva sempre sognato di scrivere il grande romanzo americano e finì per creare il grande universo globale dei ”supereroi con superproblemi”.

C’è un autore americano che, secondo certi parametri, dovremmo considerare un fallito. Ha sempre coltivato il sogno di scrivere il “grande romanzo americano” e, in 95 anni su questa Terra, non ha mai visto quel libro sugli scaffali. Il mondo della letteratura l’ha spesso snobbato e isolato, ma in tarda età si è riscattato nel cinema e grazie alle sue idee è diventato il produttore esecutivo di maggior successo di sempre: film basati sulle sue opere hanno incassato oltre 32 miliardi di dollari in totale nel box office mondiale, cifra da Guinness. Non ha mai vinto prestigiosi premi letterari, eppure il suo volto è riconosciuto, ormai, da generazioni di lettori. Il suo nome era Stanley Martin Lieber, ma la stragrande maggioranza lo conosce come Stan Lee, il nom de plume che scelse quando iniziò a lavorare, appena diciassettenne, nel campo dei fumetti.

I suoi genitori, Celia Solomon e Iancu Urn “Jack” Lieber, erano ebrei ashkenaziti: nei primissimi del ’900 avevano lasciato la Romania per l’America, in fuga dai pogrom, dalla povertà e da un clima sociale invivibile. Stanley nacque cento anni fa, il 28 dicembre 1922, a New York: come tanti figli della Grande Depressione si dimostrò presto ambizioso, precoce, intenzionato a vivere il sogno americano fino in fondo. Raccontò che a quindici anni vinse un concorso per saggisti in erba indetto dall’Herald Tribune: così si convinse di diventare uno scrittore. La “rete” della sua comunità lo aiutò presto: lo zio materno lo mise in contatto con il marito di una cugina, tale Martin Goodman. Era un piccolo editore, la cui specialità era inseguire le mode. Quale che fosse il genere o il formato che andava per la maggiore nei newsstands o nei drugstores, Goodman ne produceva imitazioni attraverso uno dei tanti marchi editoriali in suo possesso, solitamente tutti sotto lo stesso tetto…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.