Inizio e fine della rivoluzione industriale italiana: una storia breve ed effimera

Ottana, ai piedi della Barbagia di Nuoro, è un paese povero, di una povertà estrema, calato in un territorio ostile, infestato dalla malaria, dove i bambini si divertono «a saltare da una parte all'altra del fiumiciattolo» e la gente si aiuta come può, tentando di sopravvivere e di combattere la fame. La modernizzazione – la riforma agraria, l'industrializzazione – sconvolge questo equilibrio e fa saltare questo patto di sopravvivenza, facendo di Ottana il caso emblematico della breve durata della rivoluzione industriale in Italia. Pubblichiamo la prefazione di Alessandro Portelli al libro di Andrea Francesco Zedda "E poi arrivò l'industria" (Donzelli Editore).

Verso la metà degli anni Ottanta, a fine luglio, nei corridoi ormai vuoti del dipartimento di Scienze umanistiche della Sapienza, a Villa Mirafiori, si aggirava sperduta una ragazza. Chiedo se posso aiutarla, mi spiega che viene da un paese della Barbagia (forse era Ottana, forse no), ha sempre sognato di studiare inglese per fare la hostess. L’unica scuola superiore al suo paese era un istituto per periti chimici, inutile adesso che la chimica non c’è più e comunque non è perita chimica che voleva diventare. Adesso è a Roma per realizzare il suo sogno. Non ho il coraggio di dirle che le mancano i centimetri per essere assunta all’Alitalia, né so come confortarla quando scopre che il corso d’inglese che l’aspirante hostess perita chimica dovrà frequentare si chiama «Anagnorisis e riconoscimento nella letteratura medievale». Non l’ho più rivista, e mai dimenticata.

Per questo ho letto con grande partecipazione e interesse questo importante libro di Zedda su Ottana, l’impatto e l’eredità culturale della sua breve vicenda industriale. Più ancora del vasto (talora sovrabbondante) apparato metodologico e teorico, ho apprezzato soprattutto la completezza dell’approccio, l’uso competente di una molteplicità di fonti, il trattamento non banale delle fonti letterarie, fotografiche, artistiche accanto alle fonti orali e altre più tradizionali, dalla letteratura socio-antropologica al giornalismo alla letteratura locale e alla poesia in lingua sarda, e delle memorie personali e familiari trattate con discrezione non invasiva. Il tema è della massima rilevanza, sia storicamente (la durata e i limiti delle culture locali di fronte ai paradossi di un’industrializzazione effimera) sia politicamente (il rapporto fra il locale e il nazionale, e quello fra cittadini e Stato, così problematico anche nella nostra contemporaneità) e chiama non solo alla lettura e all’ascolto ma anche al …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.