Sessismo, razzismo e disuguaglianze: una sfida anche per l’intelligenza artificiale

Basandosi su dati creati dagli esseri umani i sistemi di intelligenza artificiale possono incorporare (e di fatto incorporano) i pregiudizi radicati nella società. Con impatti non trascurabili in termini di rafforzamento delle disuguaglianze esistenti.

Sempre più istituzioni e aziende affidano i propri processi decisionali (come per esempio quelli relativi alla selezione del personale) a sistemi di intelligenza artificiale, nella convinzione che un algoritmo possa fornire una risposta scevra da qualsiasi condizionamento o influenza. Ma è proprio così?  

Il discorso sembrerebbe non fare una piega: gli algoritmi si limitano a fare ciò che si chiede loro e sono completamente indifferenti rispetto ai dati su cui sono chiamati a operare. Ma, c’è un ma: i dati su cui si basano sono infatti generati, raccolti e catalogati da persone in carne e ossa, le quali determinano anche da quali datasets gli algoritmi debbano attingere e su quali variabili e regole debbano fondarsi. E in entrambe queste fasi possono essere introdotti (e di fatto lo sono) pregiudizi e distorsioni, che in tal modo vengono incorporati nei sistemi di intelligenza artificiale.  

Studi e ricerche a conferma di ciò non mancano (raramente però superano i confini delle riviste specializzate, nonostante l’attenzione che il tema meriterebbe nelle nostre società sempre più tecnologizzate). In un recente articolo pubblicato su Stanford Social Innovation Review, Genevieve Smith e Ishita Rustagi (analiste del Center for Equity, Gender and Leadership dell’Università di Berkeley, California) hanno affrontato la questione prendendo le mosse da un’esperienza personale. Nel 2019, Genevieve e il marito hanno fatto richiesta per la stessa carta di credito: nonostante Genevieve avesse un punteggio di credito leggermente migliore e medesime entrate, spese e debiti del ma…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.