Roma? Raggi non l’ha resa una città più a misura di donne. Anzi

L’elezione di una donna a sindaco di Roma aveva acceso la speranza che una qualche politica di genere potesse finalmente prendere piede nella Capitale. Virginia Raggi ha però deluso tutte le aspettative.

Negli ultimi cinque anni Roma è stata governata per la prima volta nella sua storia da una donna. Avrebbe potuto essere l’occasione per un ripensamento delle politiche territoriali in un’ottica di genere, ma così non è stato. Anzi, l’amministrazione Raggi conferma – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che, per quanto fondamentale, la presenza di donne nei luoghi in cui si decide non garantisce l’assunzione di una prospettiva di genere nelle politiche pubbliche né il riconoscimento di quelle forme di politica cui le donne e il femminismo hanno saputo e sanno dare vita.

Brandendo la “legalità” come una clava, la giunta Raggi ha messo in pericolo l’esistenza stessa di alcune delle realtà più significative del territorio, sotto il profilo di genere e non solo: il rapporto con gli spazi delle donne è stato infatti specchio delle modalità con cui Raggi si è relazionata con tutte le realtà “dal basso” attive nella Capitale, mettendo di fatto a rischio la tenuta di quel tessuto socio-politico-culturale che a Roma è in gran parte rappresentato da soggetti non istituzionali.

Una città a misura di donna?

Guardare alle politiche urbanistiche e territoriali di una città con una prospettiva di genere significa mettere a fuoco l’impatto differente che esse possono determinare su uomini e donne. E conseguentemente lavorare da un lato per ridurre sempre di più le ragioni che determinano quella differenza in termini di impatto (per esempio incentivando la condivisione alla pari del lavoro di cura tra uomini e donne) e dall’altro per rendere le città sempre più vivibili per tutti, e quindi in primo luogo per chi più ne subisce le disfunzioni (le donne ma anche gli anziani, i bambini, i disabili, i poveri).

Significa per esempio cambiare le modalità del trasporto pubblico, pensate attorno a un utente medio che esce di casa alle 8 del mattino per andare al lavoro e fa ritorno a casa alle 18. Un ripensamento della mobilità che superi la logica che connette le periferie con il centro lasciando invece scoperti i collegamenti tra periferia e periferia beneficerebbe…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.