Il mondo in modelli: come gli economisti indagano la società

L’odierna economics è sempre più concepita e praticata come una disciplina “priva di un centro”, capace di allargarsi, inseguendo i problemi più vari, in tante differenti direzioni. Al suo meglio, il mestiere dell’economista oggi consiste nel “giocare”, entro un framework teorico, con una molteplicità di modelli.

Quelli della mia generazione si sono formati, nei loro studi di economia, anche sui testi di Claudio Napoleoni. Uno di essi inizia così: «La teoria del valore non è una parte della scienza economica, ma è il principio da cui tutta la scienza si svolge»[1]. Siamo nel 1976. Un anno prima, in una monografia dedicata a Piero Sraffa, Alessandro Roncaglia similmente annota: «il rapporto tra prezzi e distribuzione per una data tecnologia riguarda quello che possiamo chiamare lo “scheletro” di un sistema economico. Storicamente questo problema è stato al centro della teoria economica, e logicamente esso costituisce il “nucleo” attorno al quale si sviluppa l’analisi di altri problemi, anche quando si elaborano teorie prive di legame formale con esso»[2]. Negli anni successivi, Roncaglia si dedica ad impegnative interpretazioni dell’evoluzione della scienza economica. Quanto più queste ricostruzioni si avvicinano all’attualità, tanto più egli deve riconoscere che, in quantità e importanza, si moltiplicano «teorie separate per l’analisi di problemi diversi», dove tali problemi non abbracciano soltanto aspetti specifici della realtà economica – occupazione, moneta o commercio internazionale – ma pure dimensioni sociali e politiche – dai processi elettorali ai matrimoni, dai comportamenti altruistici alle norme culturali. Roncaglia tuttavia mantiene la sua tesi originaria, sostenendo, all’inizio degli anni 2000, che le tante teorie specifiche sorgono «attorno a una teoria del valore, in stretto collegamento con essa»[3].

Quarantacinque anni dopo quel primo libro, Roncaglia pubblica un’ambiziosastoria del pensiero economico contemporaneo[4]. A mio avviso, quelle che una volta apparivano delle tendenze, si sono nel frattempo rafforzate fino a diventare caratteristiche strutturali dell’odierna economics: la teoria dei prezzi e della distribuzione del reddito non è più al centro delle ricerche. Per un verso, questo accade perché gli economisti riconoscono sempre più la ridotta rilevanza di una teoria della riproduzione in equilibrio di un mercato competitivo, di fronte a modalità di organizzazione delle attività economiche che appaiono ben più diffuse[5]. Per l’altro verso, questo succede perché l’economics viene sempre più concepita e praticata come una disciplina “priva di un centro”, capace di allargarsi, inseguendo i problemi più vari, in tante differenti direzioni[6].

Approfondiamo quest’ultimo aspetto. Secondo la posizione episte…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.