Razza, molto di più di una parola da “espellere”

Nel linguaggio ufficiale dello Stato l’uso del termine razza come surrogato delle nostre differenze dà forza a una visione discriminatoria della diversità umana. Riconsiderarne la presenza in documenti e leggi, a partire dalla Costituzione, tenendo presenti limiti e rischi, può rivelarsi utile per contrastare il razzismo.

Avete presente quei fiumi che scorrono sotterranei per poi riemergere fragorosamente in superficie? È un’immagine che descrive efficacemente l’andamento del dibattito sulla razza nel nostro Paese: il tema sembra rimanere un po’ in sottofondo fino a quando un fatto di cronaca o anche un’iniziativa giornalistica lo portano con prepotenza alla ribalta. Per poi inabissarsi nuovamente quando l’eco della notizia si spegne, in attesa che un altro sussulto lo riporti sotto i riflettori. Ma, mentre l’interesse dell’opinione pubblica va a fasi alterne, la distanza tra coloro che sono contrari all’uso della parola razza e quelli che ne prendono le difese rimane intatta; esiste la possibilità di trovare un punto d’incontro tra i due punti di vista in nome di principi e valori condivisi? Personalmente penso di sì.

Cominciamo dall’ultima riemersione. Non molto tempo fa, il 30 luglio, in un editoriale seguito da commenti di personalità del mondo della cultura, il direttore di Repubblica Maurizio Molinari ha lanciato la proposta di “espellere” la razza, una “parola malata” e “che racchiude il seme dell’odio”, dai testi ufficiali Ue e dalle nostre leggi, in primis dalla Costituzione della Repubblica. Come ha fatto la Francia nel 2018 e come è stato proposto recentemente da un ampio schieramento politico in Germania.

Si tratta di un obiettivo che poggia su motivazioni in grado di resistere a una discussione critica? E poi intervenire sulla presenza della parola può essere realmente utile? Per dare delle risposte che siano adeguate alla complessità della questione è opportuno ripartire dal dibattito sulla presenza della parola razza nella Costituzione italiana che ha coinvolto antropologi, genetisti, filosofi e altri studiosi a partire dal 2014 (Biondi e Rickards, Scienza in rete, 2014; Destro Bisol et al. 2017). Un confronto interdisciplinare che ha avuto come animatore e guida Pietro Greco, umanissimo maestro di giornalismo e di impegno civile scomparso alla fine del 2020.

Complessità è spesso un termine abusato, ma non questa volta. Parlando di razze umane, abbiamo a che fare non solo con la diversità biologica e culturale, ma anche con il grande tema dei rapporti tra natura e cultura. Parlando di leggi, dobbiamo tenere conto non solo dell’ordinamento giudiziario, ma interrogarci anche su questioni etiche e morali. E inf…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.