Alla COP26 ha prevalso ancora una volta l’ingiustizia climatica

Nonostante alcuni importanti accordi su deforestazione, neutralità climatica e riduzione delle emissioni di metano, la conferenza di Glasgow non ha affrontato le radici della crisi climatica, ignorando le ingiustizie sociali ed economiche a essa correlate.

Al termine della COP26, l’obiettivo di mantenere l’aumento medio delle temperature al di sotto di 1,5°C è ancora vivo, ma “attaccato al respiratore” – ha dichiarato al termine dei lavori Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite.
I risultati di quest’ultima Conference of Parties – la più importante dopo la stipula, nel 2016, dell’Accordo di Parigi – sono stati analizzati (e ampiamente criticati) da pressoché tutti gli organi d’informazione del pianeta. Alcuni hanno parlato di “accordo storico”, altri di “totale fallimento”. Greta Thunberg, guida del movimento ambientalista giovanile che ormai da anni infiamma le piazze di tutto il mondo, ha affermato che “non è un segreto che la COP26 sia stata un fallimento. Dovrebbe essere ovvio che non possiamo risolvere questa crisi usando gli stessi metodi che ci hanno condotto fin qui”.

I combustibili fossili, ovvero l’elefante nella stanza

Bisogna riconoscere – come sottolinea ad esempio James Shaw, il Ministro del Cambiamento Climatico neozelandese, in un intervento su The Guardian – che, sul piano negoziale, questo evento non è stato un completo disastro. Ad esempio, è la prima volta (sic!) che all’interno di un documento negoziale compare il riferimento alla necessità di intervenire sui combustibili fossili come soluzione alla crisi climatica. Incredibilmente, infatti, neppure negli accordi ratificati a Parigi durante la COP21 si era affrontata in maniera esplicita la questione del taglio delle fonti fossili.

Invece, nel comma 36, §4 del Glasgow Climate Pact si legge: «La COP invita le Parti ad accelerare lo sviluppo […] di tecnologie, e l’adozione di politiche, finalizzati alla transizione verso un sistema energetico a basse emissioni, anche aumentando rapidamente l’implementazione della produzione di energia pulita e accelerando gli sforzi miranti alla diminuzione (phasedown) dell’energia prodotta dal carbone non compensata [con tecnologie di Carbon Capture & Storage, ndr] e dei sussidi a fonti fossili inefficienti, riconoscendo la necessità di supportare una giusta transizione».

Si tratta, come ammesso dagli stessi delegati, di una delle enunciazioni intorno alle quali si è più dibattuto, e che alla fine ha lasciato molti delusi. Innanzitutto, come è noto, vi sono state aspre discor…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.