La strada di Wigan Pier è lunga un secolo

Torna nelle librerie “La strada di Wigan Pier”, l’indagine che George Orwell realizzò nel 1936 sulle condizioni del proletariato inglese. Un documento di inestimabile importanza nel rivelare come il capitalismo, allora come oggi, riproponga le stesse dinamiche di sfruttamento.

Negli anni 30 del ‘900 il carbone era il fulcro del sistema industriale, il motore dello sviluppo economico. Il fuoco con cui riscaldare le case, far muovere i treni e arroventare gli ingranaggi delle fabbriche. In Gran Bretagna le cave carbonifere puntellavano la fascia settentrionale dell’isola. Qui, la classe operaia sbuffava polvere nera e viveva nelle spianate di cemento e legno degli slum. I minatori estraevano il combustibile fossile trascinandosi per chilometri nel ventre della terra di Sua Maestà. I turni di lavoro erano logoranti e lo stipendio ammontava a pochi scellini alla settimana.
Nel 1936 lo scrittore George Orwell volle sprofondare in questo gorgo di pietra e sudore e, su proposta dell’editore Victor Gollancz, realizzò un’inchiesta sulle condizioni del proletariato inglese. La strada che imboccò fu quella per il piccolo distretto minerario di Wigan Pier. E ne uscì fuori uno spaccato letterario, a tratti profetico per la futura lotta di classe, sul movimento operaio dell’epoca.

A 85 anni di distanza, le Edizioni Alegre danno alle stampe il diamante orwelliano, dato per disperso tra i cunicoli delle stamperie italiane. Nella collana Working class, diretta dallo scrittore Alberto Prunetti, autore, tra gli altri romanzi (o ibridi letterari, come da definizione), di Amianto – sempre Alegre – e Nel girone dei bestemmiatori: una commedia operaia – Editori Laterza. Lo scrittore toscano è anche il traduttore de La strada di Wigan Pier. “Generalmente la collana ospita le penne che provengono esclusivamente dalla working class. In questo caso, però, abbiamo fatto uno strappo alla regola per il valore letterario e storico dell’opera”, dice Prunetti a MicroMega.

La prefazione è di Wu Ming 4, membro dell’omonimo collettivo di scrittori. E l’esergo è una citazione de La situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels. Il punto da cui partire, necessariamente, per interpretare il tentativo dell’autore di 1984 di dare forma all’epopea dei lavoratori, come sottolinea Prunetti. “Orwell straccia la propria conoscenza libresca del mondo operaio e si immerge, mani e piedi, nelle contraddizioni di classe. La forza della sua operazione è smontare la caterva di stereotipi che circolano. Incrostazioni, peraltro, che porta lui stesso. Alcune volte le enfatizza, altre volte le analizza e le demolisce”, afferma.

Nelle prime pagine della sua indagine, George Orwell veste i panni del giornalista. Il lavoro sul c…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.