Per tracciare un rapido bilancio della vicenda scolastica occorre connettere due tendenze. La prima, di estesa durata, è rappresentata dalla conformazione della scuola all’ideologia neoliberista. La seconda è costituita dall’impatto della pandemia sulla istituzione scolastica. Dalla interazione tra queste due tendenze derivano in parte anche le prospettive per il prossimo futuro.
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La trasformazione della scuola in senso neoliberista è iniziata negli anni Ottanta, quando alla preoccupazione per l’uguaglianza formativa è iniziata a subentrare quella per la qualità dell’istruzione. La prima scintilla venne dall’America di Reagan, col rapporto sul sistema scolastico intitolato A Nation at Risk (1983), che diagnosticava una grave crisi della qualità degli esiti formativi, e indicava come terapia la severità della valutazione. Norberto Bottani, un ricercatore dell’Ocse, raccolse questa sollecitazione pubblicando un volume di svolta: La ricreazione è finita. Dibattito sulla qualità dell’istruzione (Il Mulino, 1986). Le riforme scolastiche democratiche degli anni Sessanta-Settanta venivano accusate di aver fallito l’obiettivo dell’uguaglianza formativa e, in aggiunta, di aver compromesso la qualità dell’istruzione. Ma con i cambiamenti dell’economia mondiale che si stavano verificando, la “ricreazione” era terminata: occorreva prendere sul serio la questione del prodotto scolastico. Da quel decennio, il piano scolastico si è inclinato verso il modello neoliberista, che nei decenni successivi è diventato progressivamente egemone. I suoi pilastri sono essenzialmente due. Il primo è quello della dottrina del “capitale umano”, considerato come il principale fattore della produttività e della competitività delle imprese in un’economia globale basata sulle tecnologie avanzate. In questo quadro, la scuola è vista come subalterna al mondo delle imprese: deve garantire l’adeguata formazione dei futuri produttori, e a questo scopo deve essere gestita essa stessa secondo le logiche aziendaliste. Il secondo pilastro è quello della “concorrenza” quale motore della qualità formativa, in linea con l’ideologia del mercato come meccanismo regolatore della realtà sociale. Secondo questa concezione, si promuove la qualità e l’efficienza della scuola mettendo in competizione tra loro i diversi istituti scolastici, e al loro interno gli insegnanti e gli stessi studenti. La concorrenza per primeggiare stimolerà una crescita del tenore delle prestazioni a tutti i livelli del sistema.
Nel nostro Paese l’egemonia del modello neoliberista si è affermata tra le “tre i” (impresa, internet, inglese) di Berlusconi e la “Buona scuola” di Renzi. Come sempre accade, le trasformazioni s’innestano però sul sostrato precedente e ne vengono condizionate. A dispetto delle riforme (sofferte e contrastate) degli anni Sessanta-Settanta, l’amministrazione del nostro sistema scolastico aveva conservato un carattere marcatamente burocratico. L’innesto delle filosofie della qualità e della competizione su questo sostrato ha portato a una crescita inaudita dei controlli burocratici sull’operato dei docenti e dei dirigenti scolastici. Ma lo spirito che innerva questa nuova burocratizzazione non è più semplicemente quello dell’accertamento formale sugli adempimenti scolastici, bensì è ispirato alla retorica del controllo di qualità sui processi e sul prodotto scolastico. La filosofia aziendalista si è dunque tradotta in un assillante regime di controlli: oggi le scuole non devono solo istruire e educare…