Bescapé, 27 ottobre 1962, fine di un’Italia

Nel sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni e profeta visionario dell’autonomia energetica italiana, una riflessione sul ruolo decisivo svolto dall’impresa pubblica nel miracolo economico italiano del secondo dopoguerra.

«Le partecipazioni statali non erano affatto quel
carrozzone clientelare di cui parlano certe narrazioni
ma erano aziende a più alta intensità di capitale e
maggiore produttività delle corrispondenti aziende
private, che facevano più investimenti in ricerca e
sviluppo, più presenti nei settori ad alta tecnologia»[1].
Lucio Baccaro

«Lo Stato imprenditore si sta rivelando l’ancora di
salvezza di un capitalismo privato senza coraggio
e senza ambizioni»[2].
Massimo Mucchetti

Civic servants manageriali

Nella damnatio memoriae di quest’epoca smemorata, affonda nell’oblio la consapevolezza del ruolo decisivo svolto dall’impresa pubblica nella vicenda italica del Miracolo economico e negli anni a seguire.

Difatti, quando viene riproposta la narrazione di un Paese uscito semi-distrutto dal secondo conflitto mondiale e nel giro di pochi anni asceso nella top ten delle nazioni più industrializzate, i riferimenti sono sempre due: gli aiuti americani, simboleggiati dal Piano Marshall (magari in funzione anti-comunista), l’epopea di una generazione di imprenditori coraggiosi, in larga misura di taglia minima, che andavano alla conquista dei mercati mondiali trainati da invenzioni di prodotto che divennero rapidamente dei must planetari: la Divisumma Olivetti, la Seicento Fiat, la Vespa Piaggio, il Moplen Montedison. Si dimenticano il basso costo del lavoro, effetto anche della “carovana dei mormoni” composta dai cinque milioni di italiani che emigrarono dal Mezzogiorno per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord e – tema di questo scritto – le infrastrutture strategiche che un management pubblico e una politica lungimirante seppero offrire alla competitività dell’azienda-Italia.

Il dato d’avvio più lampante al riguardo è rappresentato dal Piano Sinigaglia, ossia la scelta dell’IRI di mettere a disposizione dell’industria nascente laminati di buona qualità e prezzi convenienti. La nascita della grande siderurgia nazionale, sotto l’impulso della Finsider presieduta da Oscar Sinigaglia e sostenuta dal governo De Gasperi. Nel lontano 1945.

Al tempo in cui prende avvio la vicenda, il settore siderurgico è ancora dominato dai vecchi produttori di acciaio da rottame, tra cui il gruppo di spicco è quello dei Falk; i quali sostengono di fronte alla commissione economica dell’assemblea Costituente che all’Italia non serve incrementare la produzione di lamiere. L’unico a esprimersi diversamente su tale questione è proprio Sinigaglia, un triestino proveniente da una famiglia di antiche tradizioni industriali e già discriminato durante il Ventennio in quanto ebreo: solo abbassando il prezzo dell’acciaio e migliorandone la qualità si sarebbe sviluppata in misura notevole l’industr…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.