Dall’ultimo quarto dello scorso secolo, i Paesi occidentali – quelli che seguono il modello del capitalismo liberale – hanno accentuato al loro interno le disuguaglianze. Storicamente, i partiti di sinistra erano, in quei Paesi, le organizzazioni maggiormente impegnate nelle politiche redistributive di contrasto alle disuguaglianze, mediante strumenti come l’imposizione fiscale progressiva, lo stato sociale e la protezione del lavoro. Tuttavia, la base sociale che alimentava il consenso verso questi partiti – la classe operaia tradizionale, i lavoratori autonomi e i lavoratori a bassa qualificazione dei servizi – si è ridotta oppure sgretolata, a seguito del declino del fordismo e dell’ascesa della globalizzazione. Per compensare questa difficoltà, i partiti di sinistra si sono rivolti ai nuovi ceti medi, che desiderano la deregolamentazione dei mercati, la promozione dei diritti civili e ambientali, la legittimazione di uno stile di vita post-materialista. Questi desideri si sono tradotti in programmi poco apprezzati da parte dei gruppi più svantaggiati: in essi le misure redistributive sono marginali, mentre notevoli impegni di spesa, in particolare sulla formazione e sull’ambiente, presentano ricadute prevalentemente di lungo periodo. Da ciò un cortocircuito: per provare a conquistare il consenso dei nuovi gruppi sociali, i partiti di sinistra perdono l’approvazione della loro base tradizionale; ma se s’impegnano a recuperare la base tradizionale, accanto ai nuovi gruppi, finiscono per elaborare programmi poco coerenti, che scontentano tutti e che provocano una drammatica serie di sconfitte.
Ho sommariamente riassunto la diagnosi formulata da Carlo Trigilia, in un suo libro appena uscito e sottotitolato “Contro il declino della sinistra”[i]. Egli suggerisce, in termini propositivi, che la traiettoria politico-elettorale della sinistra potrebbe risollevarsi puntando alla redistribuzione, ossia a una ripartizione più equa dei redditi e delle ricchezze da attuare ex post rispetto alla fase della loro produzione[ii]. Occorre costruire «un’alleanza estesa tra gruppi più disagiati e ampi settori dei ceti medi più aperti a una redistribuzione responsabile e sostenibile. Questa strada si basa su un riassetto coraggioso del welfare, della tassazione, delle relazioni industriali e delle politiche per l’innovazione che non frena ma sostiene lo sviluppo, ed è sperimentata da alcuni partiti di sinistra a forte tradizione socialdemocratica (paesi nordici e Germania dopo Schröder), nel quadro di una democrazia negoziale»