Paura, preoccupazione e (mancanza di) speranza. Le ragioni del declino della sinistra

I partiti di sinistra potrebbero costruire una larga alleanza tra gruppi sociali, recuperando le classi popolari, con un programma che affronti tre temi cruciali: le emergenze sistemiche, le disuguaglianze complesse e la società relazionale.

Dall’ultimo quarto dello scorso secolo, i Paesi occidentali – quelli che seguono il modello del capitalismo liberale – hanno accentuato al loro interno le disuguaglianze. Storicamente, i partiti di sinistra erano, in quei Paesi, le organizzazioni maggiormente impegnate nelle politiche redistributive di contrasto alle disuguaglianze, mediante strumenti come l’imposizione fiscale progressiva, lo stato sociale e la protezione del lavoro. Tuttavia, la base sociale che alimentava il consenso verso questi partiti – la classe operaia tradizionale, i lavoratori autonomi e i lavoratori a bassa qualificazione dei servizi – si è ridotta oppure sgretolata, a seguito del declino del fordismo e dell’ascesa della globalizzazione. Per compensare questa difficoltà, i partiti di sinistra si sono rivolti ai nuovi ceti medi, che desiderano la deregolamentazione dei mercati, la promozione dei diritti civili e ambientali, la legittimazione di uno stile di vita post-materialista. Questi desideri si sono tradotti in programmi poco apprezzati da parte dei gruppi più svantaggiati: in essi le misure redistributive sono marginali, mentre notevoli impegni di spesa, in particolare sulla formazione e sull’ambiente, presentano ricadute prevalentemente di lungo periodo. Da ciò un cortocircuito: per provare a conquistare il consenso dei nuovi gruppi sociali, i partiti di sinistra perdono l’approvazione della loro base tradizionale; ma se s’impegnano a recuperare la base tradizionale, accanto ai nuovi gruppi, finiscono per elaborare programmi poco coerenti, che scontentano tutti e che provocano una drammatica serie di sconfitte.

Ho sommariamente riassunto la diagnosi formulata da Carlo Trigilia, in un suo libro appena uscito e sottotitolato “Contro il declino della sinistra”[i]. Egli suggerisce, in termini propositivi, che la traiettoria politico-elettorale della sinistra potrebbe risollevarsi puntando alla redistribuzione, ossia a una ripartizione più equa dei redditi e delle ricchezze da attuare ex post rispetto alla fase della loro produzione[ii]. Occorre costruire «un’alleanza estesa tra gruppi più disagiati e ampi settori dei ceti medi più aperti a una redistribuzione responsabile e sostenibile. Questa strada si basa su un riassetto coraggioso del welfare, della tassazione, delle relazioni industriali e delle politiche per l’innovazione che non frena ma sostiene lo sviluppo, ed è sperimentata da alcuni partiti di sinistra a forte tradizione socialdemocratica (paesi nordici e Germania dopo Schröder), nel quadro di una democrazia negoziale»

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.