“Le donne e gli uomini in Iran non hanno più paura”

“Il regime iraniano non vuole cambiare. Ma noi non vogliamo più vivere nella paura. Per questo ci battiamo per la democrazia”. Una giovane attivista iraniana, studentessa di Giurisprudenza in Italia, racconta la sua rivoluzione.

Quando sono arrivata in Italia non ero un’attivista. Era il 2019 e di lì a poco sarebbe scoccata la scintilla che ha portato, nel mio Paese, all’incendio che vediamo adesso. Le proteste per il prezzo del petrolio, che portano al famoso “novembre di sangue”, sono state l’inizio di un percorso che è sbocciato infine nella rivolta di settembre 2022. L’inizio di una rivoluzione. Quell’anno, il regime represse la protesta di popolo con una strage inaudita: 1.500 persone uccise in due giorni. Dopo pochi mesi, l’8 gennaio 2020, il regime abbatteva con tre missili un aereo ucraino con a bordo passeggeri ucraini, iraniani, canadesi: la tesi prevalente fu quella dell’errore, e nessuna giustizia tuttora è stata fatta per quella ennesima strage, ma l’episodio ha lasciato un segno profondo nella coscienza degli iraniani. E in questa situazione, io stessa ho preso coscienza. Mi dicevo che dovevo fare qualcosa, scrivere, farmi ascoltare. Che era inaccettabile una strage con 1.500 persone assassinate in due giorni, che non stavano facendo niente se non protestare, manifestare in strada. Allora ho cominciato a scrivere sui miei social, sul mio profilo Instagram. Poi c’è stato l’assassinio di Mahsa Amini: la protesta è diventata più forte, e anche la mia voce lo è diventata.

Ho cominciato a partecipare a tutte le manifestazioni. In particolare durante un sit-in al Campidoglio, a inizio ottobre (una manifestazione di protesta e solidarietà organizzata dalla Rete Kurdistan e da Amnesty International, ndr) sono esplosa in un grido profondo di rabbia, attirando l’attenzione di manifestanti e giornalisti. “Ho la speranza che un giorno le donne del mio Paese possano sentire il vento fra i loro bei capelli, mentre una volta era un crimine”, ho urlato. “Sono fortunata a essere in Italia. Sono al sicuro. Tanti miei fratelli e sorelle iraniani non sono fortunati. Ma sono qua con la mia voce per loro!”. Da quel giorno, è stato un crescendo. Sono stata intervistata da molti giornali e TV. Ho incontrato altri giovani iraniani che dall’Italia stanno cercando di sostenere e far conoscere la rivoluzione. Sono diventata un’attivista; e ho capito che proprio questo voglio essere, che questo è quello che voglio fare.

La comunità iraniana che vive in Italia si mobilita attraverso Telegram. Ogni sabato c’è una protesta a Roma, adesso. Ultimamente anche le associazioni italiane stanno prestando maggiore attenzione nei nostri confronti. Il 26 novembre le ragazze di non “Non una di meno” parteciperanno alla nostra manifestazione. Anche la CGIL ha preso contatto con la rete delle giovani e dei giovani iraniani in Italia.

Noi iraniani in Italia veniamo da tante storie diverse: la maggior parte sono studenti, come me; altri sono rifugiati politici, o figli di storici rifugiati politici. Altri sono qui da dieci o dodici anni. Le comunità più grandi si trovano a Roma, Firenze, Padova. Non è un gruppo che condivide necessariamente idee politiche. Non veniamo tutti dalle stesse storie politiche. Ci unisce il desiderio di libertà per l’Iran. Per quello che mi riguarda, ho scelto di venire in Italia perché conosco la lingua italiana. Ho studiato inglese, italiano, spagnolo. Sono venuta nel vostro Paese perché ha tutto: la cultur…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.